La prova
elaborata da Anselmo sull’esistenza di Dio, nota come “prova ontologica”, è
stata poi ripresa e giudicata positivamente da Descartes e da Hegel, criticata
invece da Tommaso d’Aquino e da Kant.
a) Necessità di una purificazione interiore e di un forte impegno
personale (Proslogion, 1)
Orsú, omuncolo,
fuggi per un poco le tue preoccupazioni, sottraiti un poco ai tuoi tumultuosi
pensieri. Liberati ora dalle pesanti cure, e lascia da parte le tue laboriose
distrazioni. Dedicati un pochino a Dio e riposati in Lui. “Entra nella stanza”
del tuo spirito, cacciane fuori tutto all’infuori di Dio e di ciò che ti aiuta
a cercarlo, e, “dopo aver chiuso l’uscio”, cerca Lui. Di’ ora, o mio cuore,
tutto intero, di’ a Dio: “Io cerco il tuo volto, ricerco il tuo volto, o
Signore” (Ps., 26, 8).
b) Credo ut intelligam (Proslogion, 1)
Riconosco, o Signore, e te ne
ringrazio, che hai creato in me questa tua immagine, affinché, memore, ti pensi
e ti ami. Ma l’immagine è cosí cancellata dall’attrito dei vizi, è cosí
offuscata dal fumo dei peccati, che non può fare ciò che dovrebbe, se tu non la
rinnovi e la riformi. Non tento, o Signore, di penetrare la tua profondità
poiché in nessun modo posso metterle a pari il mio intelletto; ma desidero
comprendere in qualche modo la tua verità, che il mio cuore crede ed ama. Non
cerco infatti di comprendere per credere, ma credo per comprendere. Poiché
credo anche questo: che “se non avrò creduto non potrò comprendere” (Is.,
7, 9).
c) La prova ontologica (Proslogion,
2-3)
L’argomento a priori: l’idea di ciò di cui non si può pensare
nulla di piú grande, presente nella mente dell’uomo, comporta la necessità
logica dell’esistenza di un Essere che corrisponda a questa idea.
1 Ora
crediamo che tu sia qualche cosa di cui nulla può pensarsi piú grande. O che
forse non esiste una tale natura, poiché “lo stolto disse in cuor suo: Dio non
esiste”? (Ps., 13, 1 e 52, 1). Ma certo, quel medesimo stolto, quando
sente ciò che io dico, e cioè la frase “qualcosa di cui nulla può pensarsi piú
grande”, capisce quello che ode; e ciò che egli capisce è nel suo intelletto,
anche se egli non intende che quella cosa esista. Altro infatti è che una cosa
sia nell’intelletto, altro intendere che la cosa sia. Infatti, quando il
pittore si rappresenta ciò che dovrà dipingere, ha nell’intelletto l’opera sua,
ma non intende ancora che esista quell’opera che egli non ha ancor fatto.
Quando invece l’ha già dipinta, non solo l’ha nell’intelletto, ma intende che
l’opera fatta esiste. Anche lo stolto, dunque, deve convincersi che vi è almeno
nell’intelletto una cosa della quale nulla può pensarsi piú grande, poiché egli
capisce questa frase quando la ode, e tutto ciò che si capisce è
nell’intelletto.
2 Ma,
certamente, ciò di cui non si può pensare il maggiore non può esistere solo
nell’intelletto. Infatti, se esistesse solo nell’intelletto, si potrebbe
pensare che esistesse anche nella realtà, e questo sarebbe piú grande. Se
dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell’intelletto,
ciò di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il
maggiore. Il che è contraddittorio. Esiste dunque senza dubbio qualche cosa di
cui non si può pensare il maggiore e nell’intelletto e nella realtà.
3 E
questo ente esiste in modo cosí vero che non può neppure essere pensato non
esistente. Infatti si può pensare che esista qualche cosa che non può essere
pensato non esistente; e questo è maggiore di ciò che può essere pensato non
esistente. Perciò, se ciò di cui non si può pensare il maggiore può essere
pensato non esistente, esso non sarà piú ciò di cui non si può pensare il
maggiore, il che è contraddittorio. Dunque ciò di cui non si può pensare il
maggiore esiste in modo cosí vero, che non può neppure essere pensato non
esistente.
4 E
questo sei tu, o Signore Dio nostro.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1966, vol. IV, pagg. 691, 693-694)