Partendo
dalla constatazione che qualsiasi contestazione razionale presuppone
“l’inaggirabilità della ragione discorsiva e delle relative norme del
discorso”, Apel arriva a concludere che la fondazione ultima in filosofia è
possibile tutte le volte che altrimenti “il gioco linguistico
dell’argomentazione” risulterebbe impossibile.
E questo è
il caso della fondazione riflessivo-trascendentale a cui Apel fa riferimento
come modello specifico della filosofia.
K.-O. Apel , Etica della comunicazione
Su questo
riconoscimento riflessivo dell’inaggirabilità del punto di vista
della ragione discorsiva e delle relative norme del discorso, poggia la
possibilità di rispondere non solo alla domanda iniziale “perché mai essere
razionali?”, ma anche alla nostra domanda iniziale “perché mai essere morali?”.
Se si condivide un concetto di fondazione orientato in senso logico-formale,
risulta, come noto, impossibile offrire a questi due interrogativi una valida
risposta – interrogativi affatto cruciali per la questione relativa alla
possibilità di una morale post-convenzionale nella moderna crisi
adolescenziale (Dostoevskij e Nietzsche). Come si afferma a ragione,
presupponendo la logica apodittica obiettivabile e formalizzabile, ogni
risposta dovrebbe già presupporre ciò che deve venir fondato (il riconoscimento
delle norme di ragione) e finirebbe cosí in una petitio principii.
Perché, al contrario, in ogni fondazione intesa in senso
logico-apodittico, si deve già presupporre proprio la ragione sotto forma di
norme del discorso? A questa domanda la fondazione ultima
pragmatico-trascendentale risponde tramite stretta riflessione sulle
condizioni inaggirabili di possibilità della validità dell’argomentare (del
pensiero!).
Per questa ragione, confrontandomi con il “razionalismo critico”, che dichiara impossibile in linea di principio ogni “fondazione ultima” in filosofia, formulai il criterio per una fondazione ultima nel modo seguente: “Se non posso contestare qualcosa senza cadere in una auto-contraddizione attuale [= performativa] ed insieme non posso fondarlo deduttivamente senza cadere in una petitio principii logico-formale, allora esso rientra tra quelle presupposizioni pragmatico-trascendentali dell’argomentazione, che devono esser state già sempre riconosciute, affinché il gioco linguistico dell’argomentare possa conservare il suo senso” (Apel 1975a; v. anche Kuhlmann 1985). La mia formulazione dimostra chiaramente che il metodo riflessivo-trascendentale della fondazione ultima, specifico a mio parere della filosofia, tiene conto fin dall’inizio dell’aporia in cui si incorre muovendo dal concetto, improntato sulla logica formale, dell’argomentazione come derivazione di qualcosa da qualcos’altro (deduzione, induzione o abduzione). Non le incombe quindi obbligo alcuno di confutare il cosiddetto “trilemma di Münchhausen” (o regresso all’infinito o petitio principii o dogmatizzazione di una premessa assiomatica), in cui cadrebbe ad avviso di Hans Albert (Albert 1968, pp. 11 ss.) ogni tentativo di fondazione ultima. Inoltre, andrebbe sottolineato che il metodo riflessivo-trascendentale, in quanto linguistico-pragmatico, non fa neppure ricorso, nel senso della classica filosofia trascendentale, ad una evidenza, esente da interpretazione, della coscienza dell’io. Essa risale piuttosto all’evidenza paradigmatica del gioco linguistico, nel quale può venir costruita l’auto-contraddizione performativa insita nella contestazione dei presupposti in questione; come ad esempio quella seguente: “io asserisco con ciò come intersoggettivamente valido (ovvero, come liberamente accettabile da ogni partner del discorso) il fatto che io non debba riconoscere la norma della libera accettabilità delle asserzioni”.
[...]
È chiaro quindi che anche noi intendiamo questa forma della fondazione ultima come alternativa alla derivazione delle norme fondamentali dell’etica da qualsivoglia fatti. Non si tratta qui di esibire un fatto nel mondo, per derivare da esso qualcos’altro – una norma fondamentale – tramite obiettivabili operazioni logiche; si tratta bensí di un ricorso riflessivo al riconoscimento già sempre avvenuto di norme fondamentali in quanto tali (quindi in quanto dover-essere!). Detto altrimenti, nella fondazione ultima pragmatico-trascendentale (della filosofia tanto teoretica quanto pratica) non ha luogo nessun ricorso fondativo a fatti fondamentali né ontologici né antropologici (come spesso viene ipotizzato), tali fitti vengono bensí introdotti in modo euristico, quali candidati per il test riflessivo della fondazione ultima. Il test consiste tuttavia in un esperimento di pensiero, con cui viene dimostrata – in modo strettamente riflessivo – l’incontestabilità senza auto-contraddizione performativa.
K:-O. Apel, Etica della comunicazione,
Jaca Book, Milano, 1992, pagg. 33-36