Aristotele, Differenze sociali e contemplazione (etica nicomachea)

Aristotele inizia con il mettere in evidenza il rapporto fra valori morali e differenze sociali. La contemplazione, esaltata come l’attività morale piú alta, è poi messa in correlazione con la felicità piú grande, con il piacere puro, che rende l’uomo simile agli dèi.

 

Etica nicomachea, 1177a 1-11; 1177a 22-35; 1177b 16-1178a 8

 

           1       [1177a] E concordemente si ritiene che la vita felice sia conforme a virtú, e questa s’accompagna ad un impegno serio e non consiste nel gioco.

           2       Inoltre, noi sosteniamo che le cose serie sono migliori di quelle che muovono il riso e s’accompagnano al gioco; e che l’attività piú seriamente impegnata è sempre quella della parte migliore dell’anima e quella dell’uomo migliore; ora, l’attività di ciò che è migliore è piú valida e senz’altro piú capace di dare la felicità.

           3       Di piú, dei piaceri del corpo qualunque persona può godere, anche uno schiavo, non meno dell’uomo di altissimo rango; ma nessuno ammette la partecipazione di uno schiavo alla felicità, a meno che non ne ammetta la partecipazione anche ad una vita degna di un uomo. La felicità infatti non risiede in tali svaghi, ma nelle attività conformi a virtú, come anche prima si è detto.

4                 Se la felicità è attività secondo virtú, è logico che sia secondo la virtú piú alta; e questa sarà la virtú di ciò che vi è di migliore.

5                 Tanto dunque che questo sia l’intelletto, o qualcos’altro – qualcosa che, ad avviso di tutti, per natura comanda e dirige e ha conoscenza delle realtà belle e divine: o perché è in se stessa divina, o perché è la cosa piú divina di ciò che è in noi – l’attività di questa parte secondo la virtú che le è propria costituirà la felicità perfetta. Ora, che questa attività sia un’attività contemplativa è stato detto. Questa conclusione - tutti lo ammetteranno - s’accorda sia con i risultati precedentemente guadagnati che con la verità.

6                 Infatti questa attività è la piú alta: giacché anche l’intelletto, di ciò che è in noi, è quel che vi è di piú alto e, delle cose che sono oggetto di conoscenza, le piú alte sono quelle intorno alle quali verte l’intelletto.

7                 In secondo luogo è la piú continua: infatti possiamo contemplare con piú continuità che compiere una qualsiasi azione.

8                             Inoltre noi riteniamo che il piacere dev’essere mescolato con la felicità: ora, fra le attività secondo virtú, la piú piacevole è, per unanime consenso, quella secondo la sapienza. Il certo è che tutti riconoscono che la filosofia possiede piaceri meravigliosi per purezza e per certezza ed è logico che trascorrere il tempo sia piú piacevole per chi conosce che per chi ricerca.

9                 Di piú, quella che vien detta “autosufficienza” riguarderà soprattutto l’attività contemplativa: infatti sia il sapiente che il giusto che gli altri uomini hanno bisogno delle cose necessarie per vivere; ma, fra coloro che sono sufficientemente provvisti di tali cose, il giusto ha bisogno di persone verso le quali e con le quali agirà con giustizia, e similmente anche il saggio ed il valoroso e ciascuno degli altri uomini virtuosi; invece il sapiente, anche restando solo con se stesso, è capace di contemplare; e ne è piú capace quanto piú è sapiente. Senza dubbio è meglio se ha dei collaboratori, ma in ogni caso è pienamente bastevole a se stesso.

10               [1177b] Inoltre tutti convengono che essa sola è amata per se stessa; da essa infatti non deriva nulla al di fuori del contemplare, mentre dalle attività pratiche ricaviamo, al di fuori dell’azione, un vantaggio piú o meno grande.

11               In piú è comunemente ammesso che la felicità risiede nella vita lontana dagli affari: infatti ci applichiamo intensamente a delle occupazioni al fine d’avere del tempo libero da affari, e facciamo guerra per trascorrere i nostri giorni in pace. Ora, l’attività delle virtú pratiche si esplica nelle faccende politiche o nelle faccende militari; ma ad avviso di tutti le azioni che concernono queste faccende sono la negazione del tempo libero da occupazioni. Le azioni di guerra in modo assoluto (giacché nessuno sceglie la guerra per la guerra, né prepara una guerra fine a se stessa: ché, se uno si facesse nemici gli amici perché abbiano luogo scontri ed uccisioni, passerebbe per essere assolutamente sanguinario). Ma anche l’attività dell’uomo politico è la negazione del tempo libero da occupazioni, poiché, al di fuori del puro fatto del governare lo stato, si procura potere e cariche onorifiche, o quanto meno la felicità, per sé e per i cittadini: felicità che è diversa dall’attività politica e che anche noi ricerchiamo evidentemente come una cosa che è diversa.

12               [1177b] [...] Pertanto se fra le azioni conformi alle virtú quelle politiche e militari occupano il primo posto per bellezza ed importanza, ma queste azioni sono la negazione del tempo libero da occupazioni, e tendono ad un fine, e non sono desiderabili per se stesse; se invece l’attività dell’intelletto, la quale è attività contemplativa, eccelle – ad avviso di tutti – per la serietà e non tende a nessun fine all’infuori di se medesima, ed ha il suo proprio piacere (e questo incrementerà l’attività); se infine l’autosufficienza, il tempo libero da occupazioni, la mancanza di fatiche per quel che è possibile all’uomo, e tutti gli altri caratteri che si attribuiscono all’uomo beato sono, in tutta chiarezza, i caratteri che si realizzano secondo questa attività: ebbene, quest’ultima sarà la felicità perfetta dell’uomo, quando prende la lunghezza completa della vita. Infatti nessuna delle caratteristiche della felicità è incompleta.

13               Però una vita siffatta sarà superiore alla condizione dell’uomo: infatti non è in quanto è uomo che vivrà in questo modo, ma in quanto in lui è presente qualcosa di divino. E di quanto questo eccelle sul composto, di tanto anche la sua attività eccelle su quella secondo l’altra specie di virtú. Di conseguenza, se l’intelletto è una cosa divina rispetto all’uomo, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita dell’uomo.

14               Non si deve dare ascolto a coloro che consigliano di porre mente, essendo uomini, a cose umane e non, essendo mortali, a cose immortali, ma, per quanto è possibile, si deve diventare immortale e compiere ogni cosa per vivere in modo conforme a quella che, tra le cose che sono nell’individuo, è la piú alta. Seppure infatti essa è piccola per la massa, per potenza e dignità è di gran lunga superiore a tutte le cose.

15               E si converrà anche che ciascun uomo è questa cosa, se è vero che essa è l’elemento principale e migliore. Sarebbe dunque un assurdo se l’uomo non si scegliesse la vita che ci è propria, ma quella di un altro essere.

16               Quello che abbiamo detto piú sopra s’adatterà anche qui: infatti ciò che è proprio a ciascuno è per natura ciò che per ciascuno vi è di piú alto e di piú piacevole. E per l’uomo, dunque, sarà la vita secondo l’intelletto, se è vero che quest’elemento è soprattutto l’uomo. Di conseguenza questa vita è anche la piú felice.

 

(Aristotele, Etica Nicomachea, Bur, Milano, 1986, vol. II, pagg. 861-869)