Riservandosi
di trattare della vita contemplativa (theoretikòs bíos) piú oltre (libro decimo),
Aristotele analizza la vita dedita al piacere (edonismo), o alla ricerca
dell’onore (la politica), dimostrando che in nessuna di esse consiste il Sommo
Bene.
La ricerca
del Bene supremo sta al di sopra delle scelte parziali (il perbenismo, le buone
maniere, l’essere socialmente accetto, il successo, il piacere), perché il Bene
supremo partecipa della perfezione e non è strumento per conseguire altri beni.
A questi requisiti risponde solo la felicità, che quindi è il Sommo Bene a cui
tende l’attività pratica dell’uomo.
Etica
nicomachea, 1095b
14-1096a 10; 1097a 30-1097b 6
1 [1095b] [...] Infatti dai loro modi
di vivere non a torto il volgo e le persone rozze sembrano concepire il bene e
la felicità come il piacere. Per questo essi amano la vita che è dedita al
godimento. Infatti tre sono esattamente i principali generi di vita: quello che
ora s’è detto, la vita politica e, in terzo luogo, la vita contemplativa.
2 Ebbene, la massa si mostra del tutto
simile agli schiavi, scegliendo una vita propria degli animali; tuttavia trova
una giustificazione per il fatto che molti di coloro che rivestono cariche
direttive hanno gusti uguali a Sardanapalo.
3 Le persone raffinate e portate ad agire
prediligono invece l’onore; infatti è ordinariamente questo il fine della vita
politica. Ma risulta essere una cosa piú superficiale di ciò che cerchiamo.
Infatti è opinione comune che esso dipende piú da coloro che onorano che da chi
è onorato, invece noi presentiamo che il bene è qualcosa di personale e di
difficilmente perdibile. Inoltre gli uomini sembrano perseguire l’onore per
avere motivo di credere che essi sono persone dabbene. E difatti cercano di
essere onorati dalle persone sagge, e presso coloro dai quali sono conosciuti,
e per la loro virtú. Dunque è chiaro che almeno secondo questi uomini la virtú
è superiore.
4 Forse allora si potrebbe supporre che
questa piuttosto costituisce il fine della vita politica. Ma anche questa
risulta troppo poco perfetta. Infatti ad avviso di tutti è anche possibile che
una persona che possiede la virtú dorma o resti inattiva nel corso della vita,
e che oltre a ciò patisca mali ed abbia in sorte le sventure piú grandi. [1096a]
E chi vive in questo modo nessuno direbbe felice, se non per voler sostenere a
tutti i costi la propria tesi.
5 Ma intorno a questi generi di vita basti
cosí: di essi infatti si è detto a sufficienza anche nei trattati dati a
pubblica conoscenza. Il terzo è la vita contemplativa, intorno alla quale
faremo la ricerca in seguito.
6 La vita di lucro è una vita di costrizione
e la ricchezza non è in tutta evidenza il bene ricercato: infatti essa è
soltanto una cosa utile ed un mezzo in vista di altro. Per questo si potrebbe
supporre che piuttosto i beni precedentemente detti siano fini; infatti sono
amati per se stessi. Ma è evidente che non lo sono neppure quelli, anche se
molti argomenti sono stati diffusi in loro favore.
7 Si tralascino dunque questi beni.
8 [1097a] Ritorniamo di nuovo al bene
che è l’oggetto della nostra ricerca. Che cosa mai può essere? Infatti appare
come una cosa in un’azione e in un’arte, come un’altra in un’altra azione e in
un’altra arte: infatti è altro in medicina, in strategia e cosí di seguito
nelle restanti arti. Che cos’è dunque il bene di ciascuna? Non è forse ciò in
vista del quale si compie il resto? Questo in medicina è la salute, in
strategia la vittoria, in ingegneria la casa, in un’arte una cosa, in un’altra
un’altra; ma in ogni azione ed intenzione è il fine. Infatti è in vista di
questo che tutti compiono il resto. Di conseguenza, se qualcosa è fine di tutto
ciò che è oggetto d’azione, questo sarà il bene realizzabile nella prassi; e se
vi sono piú cose, saranno queste.
9 Pertanto il discorso, passando da
un’istanza all’altra, perviene allo stesso risultato di partenza; ma questo
risultato bisogna sforzarci di chiarire ancora di piú.
10 Poiché i fini sono manifestamente molteplici
e di questi noi scegliamo alcuni a motivo di altro (ad esempio la ricchezza, i
flauti e in generale gli strumenti), è evidente che non sono tutti perfetti;
invece il bene supremo è manifestamente qualcosa di perfetto. Di conseguenza,
se vi è un fine soltanto che è perfetto, questo sarà il bene che cerchiamo; se
sono molti, il piú perfetto di questi.
11 Ciò che è degno di perseguirsi di per se
stesso diciamo che è piú perfetto di ciò che lo è in ragione di altro; e ciò
che non è mai sceglibile a motivo di altro diciamo che è piú perfetto delle
cose che sono sceglibili talvolta per se stesse, talvolta a motivo di
quell’altro; e pertanto diciamo che è perfetto in senso assoluto ciò che è
sempre sceglibile per se stesso e non mai a motivo di altro. Ora, una tale cosa
tutti ritengono che è soprattutto la felicità. [1096b] Questa infatti
noi scegliamo sempre per se stessa e non mai a motivo di altro; invece l’onore,
il piacere, l’intelligenza ed ogni virtú li scegliamo sí anche per se stessi
(infatti sceglieremmo ciascuno di essi anche se non ci pervenisse alcun
vantaggio), ma li scegliamo anche in vista della felicità, supponendo che
mediante essi saremo felici. Invece nessuno sceglie la felicità in vista di
questi beni, né, in generale, a motivo di altro.
12 In tutta evidenza la stessa conclusione
deriva anche partendo dall’autosufficienza: infatti – ad avviso comune – il
bene perfetto è sufficiente in sé. Intendiamo quello che è sufficiente in sé
non per un individuo singolo, che viva una vita solitaria, ma anche per i suoi
genitori, per i suoi figli, per sua moglie e, in generale, per i suoi amici e
per i concittadini, poiché per natura l’uomo è un essere politico. Ma bisogna
assumere un limite di queste persone: infatti per chi le estende agli avi e ai
discendenti e agli amici degli amici, si va all’infinito. Ma questo problema
dev’essere esaminato in seguito. Per il momento poniamo che ciò che è
sufficiente in se stesso è ciò che, pur essendo da solo, rende la vita
sceglibile e non bisognosa di nulla; ora una cosa di questo genere noi
riteniamo che è la felicità. Inoltre riteniamo che è la piú degna di scelta di
tutte le cose senza che sia sommata ad altro – se poi fosse sommata, è chiaro
che sarebbe piú degna di scelta in unione con il piú piccolo dei beni: infatti
l’unione rende superiore la somma dei beni e, fra due beni, quello piú grande è
sempre piú degno di scelta. Pertanto la felicità è manifestamente alcunché di
perfetto e di autosufficiente, essendo il fine delle cose che sono oggetto
d’azione.
(Aristotele, Etica Nicomachea, Rizzoli, Milano, 1986, vol. I,
pagg. 93-95; pagg. 103-105)