Alla
domanda su quali siano i significati delle parole Aristotele fornisce due
risposte. Da una parte esse sono “simboli” delle affezioni che hanno luogo
nell’anima, dall’altra sono “suoni di voce significativi per convenzione”.
De interpr., 16a
1-20
1 [16a] Occorre stabilire, anzitutto, che
cosa sia nome e che cosa sia verbo, in seguito, che cosa sia negazione,
affermazione, giudizio e discorso.
2 Ordunque, i suoni della voce sono simboli
delle affezioni che hanno luogo nell’anima, e le lettere scritte sono simboli
dei suoni della voce. Allo stesso modo poi che le lettere non sono le medesime
per tutti, cosí neppure i suoni sono i medesimi; tuttavia, suoni e lettere
risultano segni, anzitutto, delle affezioni dell’anima, che sono le medesime
per tutti e costituiscono le immagini di oggetti, già identici per tutti.
Orbene, di questi argomenti si è parlato nei libri che riguardano l’anima: essi
appartengono infatti ad una disciplina differente. D’altro canto, come
nell’anima talvolta sussiste una nozione, che prescinde dal vero o dal falso, e
talvolta invece sussiste qualcosa, cui spetta necessariamente o di essere vero
o di essere falso, cosí avviene pure per quanto si trova nel suono della voce.
In effetti, il falso ed il vero consistono nella congiunzione e nella
separazione. In sé, i nomi ed i verbi assomigliano dunque alle nozioni, quando
queste non siano congiunte a nulla né separate da nulla; essi sono ad esempio i
termini uomo, o: bianco, quando manchi una qualche precisazione,
poiché in tal caso non sussiste ancora né falsità né verità. Ciò è provato dal
fatto, ad esempio, che il termine becco-cervo significa bensí qualcosa,
ma non indica ancora alcunché di vero o di falso, se non è stato aggiunto l’essere
oppure il non essere, con una determinazione assoluta o temporale.
3 Il nome è cosí suono della voce,
significativo per convenzione, il quale prescinde dal tempo ed in cui nessuna
parte è significativa, se considerata separatamente.
(Aristotele, Organon,
Laterza, Bari, 19842, vol. I, pag. 57-58)