Il capitolo quinto del terzo libro
dell’Etica
nicomachea tratta della deliberazione – il potere decisionale che ogni uomo
possiede –, cercando di delimitare il campo di ciò che è possibile per l’uomo
deliberare, e di individuare quello che è in nostro potere e quello che non lo
è. La facoltà della deliberazione ha per oggetto non i fini, ma i mezzi per
conseguirli; ciò che ha per oggetto il fine è invece la volontà. Il fine della
morale è il bene: esso non è da intendersi né come bene in sé (Platone),
né come bene per me (in senso relativistico), bensí come bene per la
persona virtuosa, la quale ha acquisito la capacità di comprendere che cosa
sia veramente il bene, mentre la gente normale continua a confondere il bene
con il piacere.
Etica
nicomachea, 1112a
17-1112b 34; 1113a 15-1113b 5
1 [1112a]
[...] Si delibera forse su tutto e tutto è oggetto di deliberazione, oppure su
certe cose non c’è deliberazione?
2 Senz’altro
si deve dire che oggetto di deliberazione non è ciò su cui delibererebbe uno
stolto o un folle, bensí ciò su cui delibererebbe una persona di senno.
3 Ora,
sulle cose eterne nessuno delibera: ad esempio sulle cose dell’universo, o
sulla diagonale e il lato del quadrato, che cioè sono incommensurabili.
4 Ma
neppure sulle cose che sono in divenire ma che divengono sempre nel medesimo
modo, sia per necessità; sia per natura o per qualche altra causa: ad esempio
sui solstizi e sul sorgere degli astri.
5 Né
sulle cose che si producono talvolta in un modo talvolta in un altro, ad
esempio sulle siccità e le piogge.
6 Né
sulle cose che derivano dalla fortuna, ad esempio la scoperta di un tesoro.
7 Ma
neppure su tutte quante le cose umane: ad esempio, nessuno degli Spartani
delibera come gli Sciti potrebbero amministrare il loro stato nel modo
migliore.
8 Infatti
nessuna di queste cose potrebbe essere in nostro potere. Invece deliberiamo
sulle cose che dipendono da noi e che sono oggetto d’azione. E queste sono
quelle che restano. Infatti si ammette correntemente che cause sono la natura,
la necessità e la sorte, ed inoltre l’intelligenza e tutto ciò che si produce
per mezzo dell’uomo. Ed ogni categoria di uomini delibera sulle cose che
possono essere fatte mediante loro stessi.
9 [1112b]
Ancora, nel campo di quelle delle scienze che sono rigorose e sufficienti in se
stesse non vi è deliberazione: ad esempio sull’ortografia (infatti non abbiamo
dubbi su come si deve scrivere). Invece quelle cose che sorgono per opera
nostra e non sempre nello stesso modo, su queste deliberiamo: ad esempio sulle
questioni di medicina e di commercio, e nel campo della scienza del governare
la nave piuttosto che in quello della ginnastica, quanto meno procede con
rigore, e cosí di seguito anche nel campo delle altre discipline, e sulle
opinioni piú che sulle scienze. Intorno a queste, infatti, abbiamo maggiormente
dubbi.
10 Il
deliberare ha luogo nelle cose che avvengono per lo piú, ma di cui non si sa
come finiranno, vale a dire nelle cose il cui esito non può essere determinato.
11 E
per le questioni importanti ricorriamo a persone che ci diano consiglio,
diffidando di noi stessi come non abili a decidere.
12 Deliberiamo
non sui fini, ma sui mezzi per raggiungere i fini. Né infatti il medico delibera
se guarirà, né l’oratore se convincerà, né il politico se costituirà un buon
ordinamento, né nessuno degli altri delibera sul fine; ma, posto il fine,
esaminano il come, ovvero con quali mezzi sarà realizzato. E se risulta che può
ottenersi con piú mezzi, esaminano con quale si ottiene nel modo piú facile e
migliore: se invece è realizzato con un solo mezzo, esaminano come si otterrà
con questo mezzo, e questo, a sua volta, con quale mezzo si otterrà, finché
giungano alla causa prima, che nell’ordine della scoperta è l’ultima. Infatti
chi delibera sembra ricercare ed analizzare nel modo suddetto, come nella
costruzione di una figura (è evidente che non ogni ricerca è una deliberazione,
ad esempio le ricerche matematiche, mentre ogni deliberazione è una ricerca); e
ciò che è ultimo nell’analisi, è primo nella generazione. E se ci s’imbatte in
qualcosa d’impossibile, si desiste: ad esempio se c’è bisogno di denaro e non
si è in grado di procurarselo; se invece risulta possibile, si incomincia ad
agire. E possibili sono quelle cose che possono realizzarsi per opera nostra.
Infatti le cose che possono realizzarsi per opera dei nostri amici, in un certo
modo sono realizzate per opera nostra. Infatti il loro principio è in noi.
13 E
talvolta si ricercano gli strumenti, talvolta il loro uso; e similmente anche
negli altri campi talvolta si ricerca il mezzo, talvolta come [o con che mezzo]
<va usato>.
14 Sembra
dunque, come s’è detto, che l’uomo è principio delle sue azioni. E la
deliberazione verte sulle cose che possono essere per lui oggetto d’azione, e
le azioni tendono ad un fine diverso da se medesime. Infatti oggetto di
deliberazione non potrebbe essere il fine; ma i mezzi per raggiungere i fini.
[...]
15 [1113a]
[...] Che la volontà abbia per oggetto il fine è stato detto; alcuni però
ritengono che abbia per oggetto il bene, altri ciò che pare bene.
16 Ma
per coloro che sostengono che oggetto della volontà è il bene, risulta che non
è oggetto della volontà ciò che vuole chi ha un’intenzione non retta (se infatti
fosse oggetto della volontà, sarebbe anche un bene; ma, nel caso supposto, si
trattava di un male).
17 Invece
per coloro che sostengono che oggetto della volontà è ciò che pare bene,
risulta che non vi è un oggetto della volontà per natura, ma che per ciascuno è
ciò che sembra buono. Ma ad uno pare buona una cosa, ad un altro un’altra; e se
cosí fosse, oggetto della volontà sarebbero cose contrarie.
18 Pertanto,
se queste conclusioni non sono soddisfacenti, non si deve forse dire che
oggetto della volontà in senso assoluto e secondo verità è il bene, ma che per
ciascuno è ciò che pare bene? Per l’uomo virtuoso lo è dunque ciò che è
veramente bene, per il vizioso invece qualunque cosa, come anche nel caso dei
corpi per coloro che stanno bene sono salutari le cose che sono veramente tali,
per gli ammalati lo sono altre cose, e similmente per le cose aspre e dolci e
calde e pesanti e per ognuna delle altre. Infatti il virtuoso giudica
rettamente ogni cosa ed in ciascuna gli appare ciò che è vero. Ché conformemente
ad ogni disposizione vi sono delle cose belle e piacevoli che le sono proprie;
e senza dubbio il virtuoso si distingue precipuamente per il fatto di vedere il
vero in ciascuna, come se di quelle disposizioni egli fosse regola e misura.
19 Invece
nella maggior parte degli uomini l’errore sembra sorgere a causa del piacere:
infatti, pur non essendo un bene, [1113b] ne appare. Essi scelgono
dunque il piacere come se fosse un bene e fuggono il dolore come se fosse un
male.
20 Ora,
poiché oggetto della volontà è il fine, mentre oggetto di deliberazione e di
scelta sono i mezzi per raggiungere il fine, le azioni che riguardano questi
mezzi saranno secondo scelta deliberata, ovvero volontarie.
(Aristotele, Etica Nicomachea, Bur, Milano, 1986, vol. I, pagg.
203-211)