Lo stupore di
fronte alle cose, la capacità di lasciarsi sorprendere, di rimanere in ascolto
della loro voce sono da sempre temi cari alla riflessione filosofica
dell’Occidente. In questa pagina, Aristotele mette a tema proprio questo stato
mentale, la meraviglia, facendone il sintomo del pensiero speculativo tipico
della grecità. Si tratta di quella dimensione teoretica del filosofare che
rende la riflessione greca diversa dalla sapienza, pur antica, delle altre
culture.
Da tutto ciò che si è detto, dunque, risulta che il
nome che è oggetto della nostra indagine si riferisce ad una unica e medesima
scienza: essa deve speculare intorno ai principi primi e alle cause: infatti,
anche il bene e il fine delle cose è una causa.
Che, poi, essa non tenda a realizzare qualcosa,
risulta chiaramente anche dalle affermazioni di coloro che per primi hanno
coltivato filosofia. Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come
in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano
meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a
poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi
riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi
riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di
dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui
che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito
da un insieme di cose che destano meraviglia. Cosicché, se gli uomini hanno
filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il
conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica.
E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando c’era già
pressoché tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all’agiatezza ed al
benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. É
evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia
estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è
fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le
altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa.
Per questo, anche, a ragione si potrebbe pensare
che il possesso di essa non sia proprio dell’uomo; infatti, per molti aspetti
la natura degli uomini è schiava, e perciò Simonide dice che “Dio solo può
avere un tale privilegio” e che non è conveniente che l’uomo ricerchi se non
una scienza a lui adeguata. E se i poeti dicessero il vero, e se la divinità
fosse veramente invidiosa, è logico che se ne dovrebbero vedere gli effetti
soprattutto in questo caso, e che dovrebbero essere sventurati tutti quelli che
eccellono nel sapere. In realtà, non è possibile che la divinità sia invidiosa,
ma, come afferma il proverbio, i poeti dicono molte bugie; né bisogna pensare
che esista altra scienza più degna di onore. Essa, infatti, fra tutte, è la più
divina solo in questi due sensi: a) o perché essa è scienza che Dio possiede in
grado supremo, b) o, anche, perché essa ha come oggetto le cose divine. Ora,
solo la sapienza possiede ambedue questi caratteri: infatti, è convinzione a
tutti comune che Dio sia una causa e un principio, e, anche, che Dio,
esclusivamente o in grado supremo, abbia questo tipo di scienza. Tutte le altre
scienze saranno più necessarie di questa, ma nessuna sarà superiore.
(Aristotele, Metafisica,
982b-983a, trad. di Giovanni Reale).