Aristotele, La potenza come principio di movimento (metafisica)

Nel nono libro della Metafisica Aristotele analizza il concetto di potenza. Potenza di fare, potenza di subire, potenza e impotenza.

 

Metafisica, 1046a 3-38

 

1      [1046a] [...] È stato da noi precisato, in altro libro, che la potenza [e dýnamis] e il potere [tò dýnasthai] sono parole suscettibili di molti significati. Di questi molteplici significati possono essere tralasciati quelli che si esprimono per mera omonimia: alcune cose, infatti, son dette potenze solo in base a una certa similitudine, cosí come in geometria diciamo che alcune cose sono in potenza o non sono in potenza certe altre, a seconda che siano o non siano in un certo modo. Invece le potenze conformi a una stessa specie sono, tutte quante, in un certo senso princípi, e sono dette potenze in relazione a quella che è potenza in senso primario e che è principio di mutamento in altra cosa o nella medesima cosa in quanto altra. Infatti, (1) c’è una potenza di patire, la quale è – nel paziente stesso – il principio di mutamento passivo ad opera di altro o di sé in quanto altro; e (2) c’è, invece, una potenza che è capacità di non subire mutamenti in peggio né distruzione ad opera di altro o di sé in quanto altro ad opera di un principio di mutamento. In tutte queste definizioni è contenuta la nozione di potenza nel senso originario. Ulteriormente, queste si dicono potenze (a) o perché sono potenze di agire o patire semplicemente, oppure (b) di agire e patire in un dato modo: pertanto anche nelle definizioni di queste è presente il concetto della potenza nel senso originario.

2      È evidente, dunque, che, in un senso, la potenza del fare e patire è unica: una cosa ha potenza sia perché possiede essa stessa la capacità di patire ad opera di altra, sia perché un’altra cosa può patire ad opera di essa. Invece, in un altro senso, le potenze del fare e del patire sono diverse. Infatti, l’una si trova nel paziente (in effetti è in virtú del possesso di un certo principio, ed è perché la materia stessa è un tal principio, che il paziente patisce, nei diversi casi, ad opera di agenti diversi: il grasso è combustibile e ciò che è comprimibile in questo dato modo può essere compresso in siffatto modo, e similmente negli altri casi); l’altra, invece, si trova nell’agente, come ad esempio il caldo e l’arte del costruire: il primo si trova in ciò che è in grado di riscaldare e la seconda in chi è in grado di costruire. Perciò, nella misura in cui una cosa è un’unità naturale, non può patire nulla ad opera di se medesima, perché essa è una e non diversa da sé.

3      Impotenza [e adynamía] o impotente [tò adýnaton] è privazione contraria a questa potenza. Pertanto, per la medesima cosa e secondo il medesimo rapporto ogni potenza si contrappone a un’impotenza. E la privazione ha molteplici significati: infatti indica (1) ciò che non ha qualcosa, (2) ciò che per natura sua dovrebbe avere qualcosa che non ha, (a) assolutamente ovvero (b) al momento in cui per sua natura dovrebbe già averlo; e, in quest’ultimo caso, o (a) in un determinato modo (ad esempio completamente), oppure (b) solamente in una certa misura. (3) Infine, quando alcune cose non abbiano per effetto di violenza ciò che per natura loro dovrebbero avere, diciamo che queste soffrono di privazione.

(Aristotele, Metafisica, Rusconi, Milano, 19942, pagg. 395-397)