Aristotele, Le caratteristiche del racconto tragico (poetica)

Sono descritte le componenti fondamentali della “tragedia”. Dall’analisi emerge la complessità della struttura di questa grande forma di arte, in cui – a giudizio di Aristotele – eccelse il talento di Euripide.

 

Poetica, 1452b 31-1453b 8

 

1      [1452b] [...] Poiché la struttura della tragedia migliore deve essere non lineare, ma complessa, e inoltre imitatrice di fatti paurosi e compassionevoli, dato che proprio questo è il carattere particolare di tale mimesi, è chiaro anzitutto che non debbono presentarsi gli uomini eccellenti quando passano dalla buona alla mala sorte, perché questa non è una situazione né paurosa né compassionevole bensí ripugnante: e neppure i perfidi quando passano dalla cattiva alla buona sorte, perché questa situazione sarebbe la meno tragica possibile, non possedendo nulla di ciò che deve avere: non ha il consenso umano, e non contiene né pietà né paura. Ma non sarà neppure un uomo veramente cattivo a cadere dalla felicità nella infelicità, perché tale struttura avrebbe consenso umano, ma non pietà né paura: [1453a] l’una riguarda l’innocente sfortunato, e l’altra un nostro consimile, ossia la pietà è per l’innocente e la paura per il nostro consimile; di modo che l’avvenimento non sarà né compassionevole né pauroso.

2      Resta dunque il personaggio intermedio: colui che, senza eccellere in virtú e giustizia, cade nella sventura per una qualche colpa, e non per la sua cattiveria o perfidia, mentre appartiene al numero di chi vive in grande reputazione e felicità, come Edipo e Tieste e gli altri uomini insigni di tali casati.

3      Se ne conclude di necessità che il racconto fatto bene riguarda un singolo piuttosto che una coppia, come vorrebbero alcuni, e non mostra il passaggio allo stato felice da uno stato infelice ma, al contrario, dalla felicità all’infelicità, e non per malvagità, ma per una grande colpa che è stata commessa o da chi è come ho detto o da chi è piuttosto egregio che mediocre. La prova è a portata di mano: infatti i poeti dapprima prendevano i racconti dove capitava, ma ora le piú belle tragedie che si compongono si riferiscono a poche famiglie, come quelle di Alcmeone, Edipo, Oreste, Meleagro, Tieste, Telefo, e di quanti altri si trovarono a patire o commettere fatti terribili.

4      Questa è la struttura della tragedia migliore artisticamente. Ed è proprio qui che sbagliano i critici di Euripide, quando notano che si comporta cosí nelle tragedie, e che molte delle sue tragedie finiscono con l’infelicità. Ma questo, come ho detto, è giustissimo, e ne abbiamo una prova assoluta, perché sono tragedie simili che, sulle scene o nelle gare, una volta allestite, risultano perfettamente tragiche; e fra gli autori è proprio Euripide che risulta in sommo grado poeta tragico, anche se le altre parti della trama non le dispone bene.

5      Viene seconda quella tragedia che ha la struttura duplice come l’Odissea, e finisce in maniera opposta per i buoni e i cattivi. È la struttura che alcuni definiscono come prima. Ma è colpa del pubblico se questa si ritiene la prima, perché i poeti si adeguano nelle loro opere alla richiesta degli spettatori. E invece non è questo piacere che una tragedia produce, anzi è specifico piuttosto della commedia: è lí che, se i personaggi della trama sono anche i piú fieri avversari come Oreste ed Egisto, alla fine se ne vanno rappacificati e non c’è uccisione di nessuno per mano di nessuno.

6      [53b] Il fatto pauroso e compassionevole può risultare dunque dallo spettacolo, ma anche dalla struttura della vicenda per se stessa, e questo è appunto preferibile, ed è segno di piú abile poeta. Anche a prescindere dalla visione, il racconto dev’essere strutturato in modo che, al solo ascoltare gli avvenimenti, si provino sentimenti di paura e di pietà per quello che sta succedendo: è ciò che si prova al solo udire la storia di Edipo. E invece, il procurare questo effetto per mezzo della scena dimostra minore abilità nell’arte e cerca sussidio nella regia.

 

(Aristotele, Dell’arte poetica, Mondadori, Milano, 1974, pagg. 41-45)