Ai tempi di
Galilei la concezione aristotelica del moto ha ostacolato non poco la scienza
moderna. Il ragionamento aristotelico rimane interessante perché mette in
evidenza un atteggiamento che finisce con l’imporre alla natura gli schemi
della Ragione.
Fisica, 265a 11-265b 8
1 [265a]
È chiaro dunque da ciò che neppure i naturalisti hanno ragione, allorquando
sostengono che tutte le cose sensibili sono sempre in movimento, dal momento
che si muovono di qualcuno di questi movimenti e soprattutto secondo loro
avvengono le alterazioni: dicono, infatti, che le cose scorrono sempre e si
distruggono ed inoltre anche la generazione e la distruzione chiamano
alterazione.
2 Ora, il presente ragionamento ha
dimostrato in generale, circa ogni specie di movimento, che in nessun movimento
è possibile che un mobile si muova continuamente, all’infuori che nel movimento
circolare; sicché neppure in quello per alterazione né in quello per
accrescimento. Quanto è stato detto basti a dimostrare che nessun mutamento è
infinito né continuo, ad eccezione del trasporto circolare.
3 È chiaro pertanto che il trasporto
circolare è il primo dei trasporti. Ogni trasporto, infatti, come anche prima
abbiamo detto, o è circolare o su linea retta o misto, ed è necessario che i
primi due siano anteriori a questo, poiché esso consta di quelli; quello
circolare poi è anteriore al rettilineo, poiché è piú semplice e piú perfetto.
Non è possibile, difatti, che un mobile infinito sia trasportato su una linea
retta, poiché l’infinito in tal senso non esiste; ma neppure se esistesse,
alcunché vi si potrebbe muovere, poiché l’impossibile non si può verificare ed
è impossibile percorrere l’infinito. D’altra parte, il movimento sulla retta
finita, ritornando indietro, risulta composto e forma due movimenti: non
ritornando indietro è imperfetto e soggetto a distruzione. Ma sia per natura,
sia per definizione, sia per tempo il perfetto è anteriore all’imperfetto,
l’incorruttibile al corruttibile. Inoltre il movimento che può essere eterno è
anteriore a quello che non può esserlo: il movimento circolare può essere
eterno, mentre degli altri né trasporto, né alcun altro può esserlo: infatti si
deve produrre un arresto e, se si produce un arresto, il movimento si
distrugge. Ragionevolmente accade che il movimento circolare sia uno e continuo
e non lo sia quello sulla retta. Infatti di quello sulla retta è ben definito
il principio, la fine e il centro ed ha in sé tutti gli elementi, sicché esiste
un punto donde il corpo mosso comincerà a muoversi e uno dove cesserà di
muoversi (ai punti estremi, infatti, tutto è in quiete, sia al punto iniziale
sia a quello finale). Del movimento circolare, invece, i limiti sono
indefiniti: perché, infatti, tra i punti che sono sulla linea uno piuttosto che
un altro dovrebbe essere limite? [265b] Giacché ciascuno è ugualmente
inizio e centro e fine, cosicché un movimento si trova sempre sul principio e
sulla fine e non vi si trova mai. Perciò in certo qual modo la sfera si muove e
sta in quiete, poiché occupa il medesimo luogo: e ne è causa il fatto che tutte
queste proprietà appartengono al centro, giacché esso è principio e centro
della grandezza e fine, sicché, trovandosi esso fuori della circonferenza, non
v’è un punto in cui il mobile trasportato si trovi in quiete, dopo aver
compiuto il suo percorso: esso è sempre trasportato, difatti, intorno al
centro, e non in direzione dell’estremità.
4 E per questo motivo la massa totale resta
al suo posto e sta sempre in quiete in certo qual modo e si muove
continuamente.
5 Ed avviene reciprocamente: e poiché il
movimento circolare è misura dei movimenti, è necessario che esso sia primo
(poiché tutte le cose si misurano col primo) e, proprio perché è primo, è
misura degli altri movimenti.
6 Inoltre soltanto il movimento circolare
può essere anche uniforme. Infatti le cose mosse su una retta non sono
trasportate uniformemente dal principio e verso la fine, poiché tutte, quanto
piú si allontanano dal loro stato di quiete, tanto piú velocemente sono
trasportate, mentre il solo trasporto circolare non ha, per natura, né
principio né fine in sé, bensí al di fuori di sé.
(Aristotele, La Fisica, Loffredo, Napoli, 1967, pagg. 237-239)