Il filosofo inglese considera la nuova
attenzione per i vari tipi di frasi, in particolare per le frasi affermative,
descrittive e constatative, come una grande rivoluzione nel campo della
filosofia.
J. L. Austin, Come fare cose con le parole,
trad. it. di M. Gentile e M. Sbisà,
Marietti, Genova, 1974, pagg. 45-48
Non è difficile da comprendere, né causa di controversia ciò che ho da dirvi; l'unico merito che vorrei raggiungere è quello della verità, almeno in parte. Il fenomeno che discuterò è largamente diffuso, ben noto, anche se secondo me non è stato adeguatamente approfondito.
A lungo i filosofi hanno sostenuto che compito di una “affermazione” (statement) può essere solo quello di “descrivere” uno stato di cose e di affermare “qualche fatto” in modo falso o veritiero. I grammatici in realtà hanno giustamente evidenziato che non tutte le “frasi” (sentences) sono usate per produrre affermazioni: vi sono tradizionalmente, tra le affermazioni grammaticali, anche interrogazioni ed esclamazioni e frasi che esprimono comandi o desideri o concessioni. Senza dubbio i filosofi non hanno inteso negate la validità di tali distinzioni, nonostante abbiano usato un po' disinvoltamente “frase” per “affermazione”. Senza dubbio inoltre sia i grammatici che i filosofi si sono resi conto che non è assolutamente facile distinguere le interrogazioni, i comandi e cosí via dalle affermazioni per il solo tramite delle poche e sterili regole grammaticali disponibili, come, per esempio, l'ordine delle parole, il modo del verbo e cosí via. Non siamo tuttavia soliti indugiare sulle difficoltà che questo fatto ovviamente solleva. Vogliamo stabilire quali sono i limiti e l'esatta definizione delle affermazioni e delle altre espressioni?
Da pochi anni, molte espressioni che una volta erano accettate senza discussione come “affermazioni”, sia dai filosofi che dai grammatici, sono esaminate minuziosamente e con nuova sollecitudine. Una tale accurata disamina è sorta quasi indirettamente, almeno in campo filosofico. Dapprima, non sempre senza un inopportuno dogmatismo, si propose che un'affermazione di un fatto doveva essere “verificabile” e tale proposta pose in rilievo che molte “affermazioni” si potevano considerare solo pseudo-affermazioni. Ancor piú ovviamente si mostrò che molte affermazioni erano senz’altro prive di senso, come Kant forse per primo arguí in forma sistematica, nonostante la loro ineccepibile forma grammaticale. La continua scoperta di nuovi tipi di non senso, privi di sistematicità e misteriosi, nonostante la loro classificazione e la spiegazione tradizionale si conservino molto spesso, nel complesso non ha fatto che del bene. Allora noi filosofi ponemmo limiti all'abbondanza delle affermazioni prive di senso, di cui ammettiamo di servirci nel parlare. In tal modo fu naturale che ci chiedessimo in un secondo momento, se molte apparenti pseudo-affermazioni non intendano affatto essere vere e proprie affermazioni.
È di comune acquisizione il fatto che molti enunciati (utterances) simili alle affermazioni o non sono destinati affatto o sono destinati solo in parte a riferire o a fornire una informazione semplice e chiara su alcuni avvenimenti. Per esempio, “proposizioni etiche” potrebbero avere come scopo totale o parziale quello di manifestare una emozione o di prescrivere un modo di agire o di influenzare un comportamento. Anche qui Kant è stato tra gli antesignani. Molto spesso noi usiamo anche enunciati che vanno al di là della sfera della grammatica tradizionale. Si è notato che molte parole ambigue comprese in affermazioni apparentemente descrittive non servono a indicare qualche caratteristica supplementare e particolarmente strana nel contesto della realtà riferita, ma a indicare (non a riferire) le circostanze nelle quali quella affermazione è stata fatta o le riserve cui è soggetta o il modo nel quale è da intenderla e cosí via. Trascurare queste possibilità nel modo una volta comune si dice che equivale a compiere una “fallacia descrittiva”. Forse basta solo “descrittiva”, data la particolarità di questo aggettivo. Pertanto non tutte le affermazioni vere o false sono descrizioni e, per questa ragione, io preferisco usare la parola “constatativo”. Con quanto detto si è quindi dimostrato in parte o reso verosimile che molte delle perplessità tradizionali in campo filosofico sono sorte da un errore, l'errore di considerare come chiare affermazioni di fatto enunciati o privi di senso o altrimenti intesi come qualcosa di molto diverso.
Qualsiasi cosa pensiamo di uno solo di questi punti di vista o di questi suggerimenti, e per quanto deploriamo la confusione in cui sono stati immersi metodi e dottrine filosofiche, non si può mettere in dubbio che proprio questi stanno producendo una rivoluzione in filosofia. Non è importante considerare questa rivoluzione come la piú grande e la piú salutare verificatasi nella storia della filosofia. Non sorprende che gli inizi siano stati frammentari, à parti pris, e seguendo scopi diversi; ciò è comune alla maggior parte delle rivoluzioni.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. III, pagg. 51-52