La dottrina di Averroè
sull’intelletto è stato uno dei temi piú discussi dalla filosofia medievale. La
questione, schematicamente, si pone in questi termini: se l’intelletto, che è
la facoltà degli universali, possa conciliarsi con le esigenze teologiche della
religione islamica, per la quale esiste un’anima individuale, non destinata a
morire con il corpo. La soluzione data da Averroè sembra essere questa:
l’individuo è destinato a scomparire con la morte, ed esiste soltanto un’anima
della specie umana, facoltà degli universali, imperitura sia nella sua forma
attiva che passiva o potenziale. Notare la tendenza a moltiplicare gli
intelletti; oltre ai due, attivo e passivo, di cui aveva parlato Aristotele,
compare anche un intelletto speculativo, con il compito di fare da tramite fra
i due. Dell’opera di Averroè sono rimaste solo alcune traduzioni in latino.
De anima, Testo e commento, 5
1 Aristotele:
Cosí dunque non ha nessuna natura se non questa che esso è possibile. Quello
dunque che è detto intelletto dell’anima (e dico intelletto quello mediante cui
l’anima intende ed opina) non è in atto nulla degli enti prima che intenda.
2 Averroè:
Avendo dichiarato che l’intelletto materiale non ha forma di cosa materiale,
cominciò a definirlo cosí: Se perciò non ha nessuna natura, se non questa
che esso è possibile, affinché possa ricevere le forme intelligibili
materiali; poiché dunque dice: non ha nessuna natura, intende che quella
parte dell’anima che si chiama intelletto materiale non possa avere nessuna
natura né essenza in cui consista in quanto materiale, se non la natura della
potenzialità (o prontitudine) essendo privo di tutte le forme materiali e
intelligibili.
3 E
quando dice: Quello dunque che è detto intelletto ecc., intendo, quando
dico intelletto, quella forza o facoltà dell’anima che propriamente si chiama
intelletto; non quella forza che in senso lato o figuratamente i Greci
chiamarono intelletto, che è la stessa potenza immaginativa, ma intendo quella
facoltà per la quale discerniamo e conosciamo le cose contemplative stesse e
pensiamo che le cose pratiche sono da farsi.
4 Dipoi
dice: non è in atto nulla degli enti prima che intenda, come se dicesse,
dunque, la definizione dell’intelletto materiale essere questa, essere esso
cioè ciò che è in potenza rispetto a tutti i concetti delle forme materiali e
universali e non è alcuno degli enti in atto prima che ne abbia intellezione. E
se questa è la definizione dell’intelletto materiale, segue che l’intelletto stesso
differisce in alcunché dalla materia prima e se ne distingue, secondo il parere
di Aristotele.
5 Ed
in primo luogo, poiché l’intelletto è in potenza rispetto a tutti i concetti
delle forme universali materiali, mentre la materia è in potenza rispetto a
tutte le forme sensibili; in secondo luogo perché l’intelletto materiale
distingue le forme che riceve, mentre la materia nulla distingue né apprende. E
la causa per la quale questa natura distingue e discerne e la materia prima
nulla conosce e discerne, è che la materia prima riceve forme diverse singolari
ed individue, l’intelletto invece riceve forme universali. Di qui si può
desumere che questa natura non è nulla di singolare o di individuo; né corpo né
potenza in un corpo poiché se ciò potesse essere riceverebbe le forme in quanto
singolari, diverse e individue; e quelle che sono in lui sarebbero
intelligibili in potenza e cosí non conoscerebbe né distinguerebbe la natura
delle forme in quanto forme, come avviene nelle forme particolari, siano esse spirituali,
siano esse materiali. Perciò è necessario che questa natura che viene chiamata
intelletto riceva le forme stesse, ma in un modo diverso da quello in cui
queste materie ricevono le forme che ricevono, le quali forme sono quindi
contenute e trattenute nella materia stessa in quanto la materia prima viene
mediante esse determinata. Non occorre dunque che esso sia del genere di quelle
materie in cui è inclusa, o determinata la prima materia, né che sia la stessa
materia prima poiché, se cosí fosse, sarebbe allora dello stesso genere
nell’una e nell’altra il ricevere delle forme poiché la diversità della cosa
ricevuta porta a concludere per la diversità della cosa ricevente. Questo
dunque costrinse Aristotele a porre tale natura come distinta dalla natura
della materia e dalla natura della forma e dalla natura composta di queste due.
6 Per
questa ragione Teofrasto, Temistio ed altri varii espositori sono stati indotti
a ritenere essere l’intelletto materiale una sostanza ingenita e
incorruttibile, poiché ogni generato e corruttibile è singolare individuo; ma
non è a nessuno nascosto che lo stesso intelletto non è cosa individua e
singolare a un corpo e potenza in un corpo.
[...]
7 Ma
poiché inoltre videro che Aristotele diceva che se vi è un intelletto in
potenza occorre che vi sia un intelletto in atto (che è lo stesso intelletto
agente che estrae l’intelletto che è in potenza dalla potenza all’atto), e
perché vi sia un intelletto dedotto dalla potenza all’atto (cioè quello che
l’intelletto agente fa sí che sia intelletto in atto, e cioè l’intelletto
materiale, al modo che l’arte pone le forme artificiali nella materia
dell’arte), perciò sono stati anche indotti a ritenere che questo terzo
intelletto che l’intelletto agente produce e rende ricevente l’intelletto
materiale, e cioè l’intelletto speculativo, sarebbe eterno, perché essendo
eterno il ricevente e l’agente, sarebbe necessario che fosse eterno anche il
loro prodotto.
[...]
8 Stando
le cose cosí, mi parve che da parte mia meritasse lo scrivere su ciò quanto io
ne pensai; e se quanto io sento su questa questione non sarà soddisfacente ed
esatto, io scongiuro i miei fratelli che leggeranno questi miei scritti che
scrivano anche essi le loro opinioni; che forse si troverà la verità su questo
affare se ancora io non l’ho trovata. E se l’ho trovata, come penso, con i loro
dubbi resterà confermata e manifestata. La verità infatti, come dice
Aristotele, corrisponde a se stessa ed in ogni senso offre testimonianza di sé.
[...]
9 Ma
poiché da quanto sopra siamo indotti a ritenere che l’intelletto materiale è
uno in tutti gli individui ed anche che la specie umana sia eterna, come
altrove è stato dichiarato, occorrerà perciò che l’intelletto materiale non
possa essere privato dei princípi universali noti per natura a tutta la specie
umana, cioè delle prime proposizioni e concetti singolari comuni a tutti,
essendo tali intellegibili uno in rapporto al ricevente, mentre sono piú in
rapporto al concetto di ciò che è ricevuto.
10 Secondo
il modo dunque per il quale questi intelligibili sono unici in esso, essi sono
di necessità eterni, non separandosi l’essere stesso dal soggetto ricevuto,
cioè dallo stesso movente che è lo stesso concetto delle forme immaginate
medesime; e non vi è qui alcun impedimento da parte del ricevente. Perciò non
avrà luogo nessuna generazione e corruzione se non in ragione della
molteplicità contingente agli individui, non già in ragione dell’essere essi
uno solo in esso. Se quindi qualcosa dei primi intelligibili o prime nozioni si
corrompe per la corruzione del suo soggetto per il quale questo qualcosa è
congiunto e copulato con noi ed è vero e uno (cioè in rapporto ed in ragione di
alcun individuo) è necessario ammettere che quell’intelligibile sia
incorruttibile in senso assoluto, ma corruttibile rispetto e in ragione del
particolare individuo; e in tal modo possiamo dire che l’intelletto speculativo
è uno in tutti.
11 Ma
se si considerano tali intelligibili in quanto hanno l’essere assoluto e non in
ragione dei particolari individui, allora veramente si dirà avere essi una
esistenza eterna, e che essi non siano talvolta intelligibili e talvolta no, ma
allo stesso modo esistano sempre. Sembra infatti che essi abbiano un certo
essere intermedio tra quello passeggero e quello permanente poiché in ragione
di quanto avranno di corruzione nel loro ultimo atto di perfezione sono
generabili e corruttibili, ma in ragione di ciò che sono unici nel numero sono
eterni.
[...]
12 E
questo modo secondo cui ponemmo l’essenza dell’intelletto materiale risolve
tutte le questioni che capitano in ciò che ponemmo che l’intelletto è uno e
molti poiché se ciò che è intelligibile presso di me e presso di te fosse la
stessa cosa in ogni senso ne seguirebbe che quando io avessi scienza di un
intelligibile, tu pure l’avresti, ed altre simili incongruenze. Oppure, se
diciamo che lo stesso intelligibile si moltiplica secondo la molteplicità degli
stessi conoscenti, allora seguirà che lo stesso intelligibile sarà presso di me
e presso di te uno nella specie e due nel numero. E cosí oltre a una cosa
intelligibile vi sarebbe un’altra cosa intelligibile e cosí all’infinito. Ed
allora il discepolo non potrebbe imparare dal maestro, a meno che la stessa
scienza che esiste nel maestro non sia una certa energia generatrice producente
la scienza stessa nel discepolo al modo che un fuoco genera un altro fuoco
simile a lui nella specie, il che è assurdo. E il fatto che il conosciuto è lo
stesso nel maestro e nel discepolo fece ritenere a Platone che apprendere fosse
ricordare. Ma ammettendo che la cosa intelligibile che è presso di me e presso
di te è molteplice per il soggetto in quanto è vera, e cioè in quanto è forma
della immaginazione che è una nel soggetto in quanto è intellezione esistente e
materiale, cosí tutte queste questioni si risolvono interamente.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1966, vol. IV,
pagg. 1108-1118)