Avicenna, Ragione e finalità

Avicenna analizza il rapporto fra la ragione e il principio di causalità. Per lui è conforme a ragione il fatto che il processo della causalità porti a una causa unica. È conforme a ragione anche la ricerca di uno scopo che sia a fondamento di tutti gli altri scopi, cioè un fine ultimo. Chi non si attiene alla ragione agisce “senza uno scopo e a casaccio”, e si comporta come gli animali.

 

La guarigione, Tr. III, v. Horten

 

1      Per quanto riguarda ora la finitezza delle cause finali, ciò ti è risultato chiaro nel luogo in cui noi abbiamo dimostrato l’esistenza delle cause finali stesse; ed abbiamo là risolto anche le questioni al riguardo. Dimostrata l’esistenza delle cause finali è al tempo stesso dimostrata anche la loro finitezza. E ciò si basa sul fatto che quella causa che significa la perfezione della cosa è cosiffatta che le altre cause sono esistenti in ragione di essa, mentre essa non è indirizzata ad un’altra cosa come suo scopo. Se dietro a questa causa di perfezione di una cosa vi fosse una nuova causa di perfezione, in tal caso la prima causa esisterebbe in ragione della seconda; ma cosí la prima non sarebbe tale da indurre la perfezione della cosa; e tuttavia essa verrebbe premessa come cosiffatta. Qualora ciò si verifichi, colui che ammette la possibilità che le cause di perfezione si susseguano in una catena infinita viene ad allontanarle al tutto fino ad annullare la natura del bene, la quale si dimostra appunto mediante la causa di perfezione, essendo il bene quella cosa che viene cercata per se stessa, mentre le altre cose vengono cercate a cagione di questo bene. Quando cosí il bene è cercato per altro esso è un utile; non un bene nel senso proprio della parola.

2      Con la tesi che le cause della perfezione formano una catena infinita è chiaro che vengono eliminate le cause di perfezionamento stesse, poiché chi ammette che dietro a questa perfezione sia possibile una nuova perfezione, toglie via con ciò l’attività della ragione. È infatti chiaro per sé che chi opera razionalmente solo in ciò compie ciò che vuol compiere con la sua ragione in quanto egli cerca un preciso scopo e un fine ultimo. Se egli produce ciò che dipende da noi e compie la sua operazione senza che venga raggiunto uno scopo ragionevole, si dice che egli opera senza uno scopo e a casaccio. Egli non operò come uomo ragionevole ma bensí come animale. Stante ciò, sono ben precisate quelle cose che il ragionevole produce come ragionevole per mezzo della determinazione dello scopo che ha in vista, e sono appunto tali che egli per loro stesse le ha in vista. E poiché cosí l’operazione razionale viene in essere solo quando essa è determinata e precisata mediante uno scopo finale, e poiché questa determinazione della operazione razionale non ha luogo in quanto essa sia operazione razionale, ma in quanto essa è un’operazione mediante la quale l’operante cerca un ultimo scopo, cosí deve l’operazione essere razionale in quanto tenda a un ultimo scopo. La circostanza che l’operazione ha un ultimo scopo impedisce che uno scopo via via segua a uno scopo che resta indietro e perciò è chiaro che l’obiezione dell’avversario che dice che ogni scopo finale è indirizzato a uno scopo che poi resta indietro non può aver luogo.

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1966, vol. IV, pagg. 1077-1078)