ADORNO, FILOSOFIA E RENDENZIONE

 

Per finire. La filosofia, quale solo potrebbe giustificarsi al cospetto della disperazione, è il tentativo di considerare tutte le cose come si presenterebbero dal punto di vista della redenzione. La conoscenza non ha altra luce che non sia quella che emana dalla redenzione sul mondo: tutto il resto si esaurisce nella ricostruzione a posteriori e fa parte della tecnica. Si tratta di stabilire prospettive in cui il mondo si dissesti, si estranei, riveli le sue fratture e le sue crepe, come apparirà un giorno, deformato e manchevole, nella luce messianica. Ottenere queste prospettive senza arbitrio e violenza, dal semplice contatto con gli oggetti, questo, e questo soltanto, è il compito del pensiero. È la cosa piú semplice di tutte, poiché lo stato attuale invoca irresistibilmente questa conoscenza, anzi, perché la perfetta negatività, non appena fissata in volto, si converte nella cifra del suo opposto. Ma è anche l'assolutamente impossibile, perché presuppone un punto di vista sottratto, sia pure di un soffio, al cerchio magico dell'esistenza, mentre ogni possibile conoscenza, non soltanto dev'essere prima strappata a ciò che è per riuscire vincolante, ma, appunto per ciò, è colpita dalla stessa deformazione e manchevolezza a cui si propone di sfuggire. Il pensiero che respinge piú appassionatamente il proprio condizionamento per amore dell'incondizionato, cade tanto piú inconsapevolmente, e quindi piú fatalmente, in balía del mondo. Anche la propria impossibilità esso deve comprendere per amore della possibilità. Ma rispetto all'esigenza che cosí gli si pone, la stessa questione della realtà o irrealtà della redenzione diventa pressoché indifferente.

 

(Th. W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1994, p. 304)