ADORNO, FIORI DI VITA E FIORI DI MORTE

Da quando non si possono più cogliere fiori per l'ornamento dell'amata, come sacrificio che viene riconciliato in quanto l'eccesso per lei sola si fa spontaneamente carico del torto fatto a tutte, il coglier fiori diventato qualcosa di cattivo. Esso non ha più altra funzione che di eternare il caduco e il perituro, immobilizzandolo e mettendolo a portata di mano. Nulla però è più funesto: il mazzolino senza profumo, il ricordo organizzato e predisposto, uccidono quel che resta proprio in quanto viene imbalsamato e conservato. Può vivere solo l'attimo fuggevole nel flusso mormorante dell'oblio se cade su di esso, all'improvviso, il raggio che lo fa lampeggiare; la pretesa di possedere l'istante lo ha già perduto. Il mazzo rigoglioso che il bambino trascina a casa malvolentieri per ordine della madre potrebbe stare in mostra - dietro lo specchio - come quello artificiale di sessant'anni fa, e quello che ne risulta, alla fine, è l'istantanea di viaggio scattata con avida ingordigia, dove appaiono, sparsi come rifiuti, nel paesaggio, quelli che a suo tempo non ne hanno visto nulla, e credono di arraffare come ricordo ciò che è svanito e si è inabissato senza traccia. Chi, però, ammaliato, manda fiori, certamente, senza volerlo, sceglierà quelli che gli appaiono mortali.»

 

(Theodor W. Adorno - Minima Moralia / Meditazioni della vita offesa -, af. 72, Einaudi, 1994.)