Da quando un bimbo nacque in una mangiatoia, c'è da dubitare che sia accaduto qualcosa di così grande con così poco clamore». Con queste parole Whitehead introduce Galileo e la scoperta del telescopio sulla scena del «mondo moderno». E in queste parole non c'è alcuna esagerazione. Come la nascita in una mangiatoia, che non segnò la fine dell'antichità ma l'inizio di qualcosa di tanto inaspettato e imprevedibile che né la speranza né la paura avrebbero potuto anticipare, questi primi sguardi gettati nell'universo attraverso uno strumento, allo stesso tempo adattato ai sensi dell'uomo e destinato a scoprire con certezza ciò che esiste di eterno al di là di essi, posero le basi. di un mondo completamente nuovo, determinando il corso di altri eventi, che con molto maggior clamore dovevano introdurre nell'epoca moderna. All'infuori di un numero relativamente piccolo di uomini di cultura, privi di influenza politica - astronomi, filosofi è teologi - il telescopio non provocò molta emozione; l'attenzione pubblica fu attratta piuttosto dalla sensazionale dimostrazione di Galileo delle leggi della caduta dei gravi, considerata come primo passo della moderna scienza della natura (benché si possa pensare che da sola, senza che Newton la trasformasse più tardi nella legge di gravitazione universale, che è tuttora uno degli esempi più grandiosi del moderno amalgama di astronomia e fisica, ben difficilmente avrebbe portato la nuova scienza sulla via dell'astrofisica). Infatti, ciò che più decisamente distinse la nuova visione del mondo non solo da quella dell'antichità o del medio evo, ma anche dalla grande sete di esperienza diretta del Rinascimento, fu l'assunto che lo stesso tipo di forza esterna si manifesta nella caduta dei corpi terrestri e nei movimenti dei corpi celesti.
Inoltre, la novità della scoperta di Galileo fu offuscata dalle sue strette relazioni con i suoi precursori. Non solo le speculazioni filosofiche di Nicola Cusano e di Giordano Bruno, ma anche l'immaginazione formatasi nella matematica degli astronomi, Copernico e Keplero, avevano mutato la visione finita e geocentrica del mondo che l'uomo seguiva da tempo immemorabile. Non Galileo, ma i filosofi furono i primi ad abolire la dicotomia tra una terra e un cielo sovrastante, elevando, come essi pensavano, la terra «al rango di stella nobile» e scoprendo in essa una dimora in un universo eterno e infinito. E, a quanto pare, gli astronomi non avevano bisogno del telescopio per affermare che, contrariamente a ogni esperienza sensibile, non è il solo che si muove intorno alla terra, ma la terra che gira intorno al sole. Se lo storico osserva a ritroso questi inizi con tutto la saggezza e i pregiudizi di una visione retrospettiva, è tentato di concludere che non fosse necessaria alcuna conferma empirica per abolire il sistema tolemaico. Erano necessari, piuttosto, il coraggio speculativo di seguire il principio antico e medievale della semplicità in natura - anche se conduceva al rifiuto di ogni esperienza sensibile - e il grande ardimento dell'immaginazione di Copernico, che lo svincolò dalla terra e gli consentì di osservarla come lo potrebbe un abitante del sole. E lo storico si sente giustificato nelle sue conclusioni quando considera che le scoperte di Galileo furono precedute da un «autentico ritorno ad Archimede», che aveva cominciato nel rinascimento a esercitare il suo influsso. Certamente è significativo che Leonardo lo studiasse con interesse appassionato e Galileo potesse essere chiamato suo discepolo.
Tuttavia, né le speculazioni dei filosofi né l'immaginazione degli astronomi hanno mai costituito un evento. Prima delle scoperte telescopiche di Galileo, la filosofia di Giordano Bruno ebbe poca risonanza anche presso i dotti, e senza la conferma empirica che quelle scoperte conferirono alla rivoluzione copernicana, non solo i teologi ma tutti "gli uomini sensibili ... l'avrebbero imputata di una grave colpa ... una sfrenata immaginazione». Nella sfera delle idee esistono certamente solo originalità e profondità, entrambe qualità personali, ma non novità oggettive e assolute; le idee vanno e vengono, hanno una permanenza, persino una immortalità loro propria, legata al loro implicito potere di illuminazione, che è e dura indipendentemente dal tempo e dalla storia. Le idee, inoltre, diversamente dagli eventi, non sono mai senza precedenti, e le speculazioni non confermate empiricamente sul movimento della terra attorno al sole non erano prive di precedenti più di quanto lo siano le moderne teorie dell'atomo indipendentemente dalle loro basi sperimentali e dalle loro conseguenze pratiche nel mondo. Ciò che Galileo fece e che nessuno prima aveva fatto, fu di usare il telescopio in modo tale che i segreti dell'universo si offrissero alla conoscenza umana «con la certezza della percezione sensibile»; pose cioè alla portata di una creatura terrestre, e del suo corpo legato ai sensi, ciò che in precedenza era sembrato al di là delle sue possibilità, aperto tutt'al più alle prospettive incerte della speculazione e dell'immaginazione. (...)
Per molti secoli le conseguenze di questo evento, non diversamente dalle conseguenze della Natività, rimasero contraddittorie e incerte, e anche oggi il conflitto fra l’evento in se stesso e le sue quasi immediate conseguenze è lungi dall'esser risolto. Il cammino delle scienze naturali è confortato da un sempre più rapido progresso della conoscenza e del potere umano; appena prima dell'età moderna le conoscenze dell'umanità europea erano inferiori a quelle di Archimede nel HI secolo avanti Cristo, mentre i primi cinquant'anni del nostro secolo hanno assistito e scoperte più importanti di tutte quelle della storia conosciuta. Tuttavia, lo stesso fenomeno è criticato con egual diritto per l'aggravarsi non meno evidente della disperazione umana o per il nichilismo tipicamente moderno che si è diffuso in strati sempre più vasti della popolazione; l'aspetto forse più significativo di queste condizioni spirituali è di non risparmiare nemmeno più gli scienziati, il cui ben fondato ottimismo poteva ancora opporsi, nel diciannovesimo secolo, all'egualmente giustificabile pessimismo dei pensatori e dei poeti. La" moderna visione astrofisica del mondo, che cominciò con Galileo, e la sua capacità di smentire l'adeguatezza dei sensi nel rivelare la realtà, ci hanno lasciato un universo dalle qualità ignote, proprio come ci è ignoto il modo in cui esse si fanno registrare dai nostri strumenti di misurazione. «Quest'ultimo», secondo le parole di Eddington, «somiglia tanto a quelle come un numero di telefono a un abbonato». Invece di qualità oggettive, in altre parole, troviamo strumenti, e invece della natura o dell'universo - secondo le parole di Heisenberg - l'uomo incontra solo se stesso. (...)
A far iniziare l'epoca moderna non fu l'antico amore degli astronomi per la semplicità, l'armonia e la bellezza, che fece guardare a Copernico le orbite dei pianeti dal sole anziché dalla terra, né il ridestato amore del Rinascimento per la terra e il mondo, con la sua ribellione contro il razionalismo della Scolastica; questo amore del mondo, al contrario, fu il primo a cader vittima della trionfale alle nazione del mondo dell'età moderna. Fu piuttosto la scoperta, dovuta al nuovo strumento, che l’immagine copernicana dell'«uomo virile che ha preso posto nel sole... intento e contemplare i pianeti» era molto più di un'immagine o di una presa di posizione arbitraria, ma in effetti un'indicazione della stupefacente facoltà umana di pensare in termini di universo pur rimanendo sulla terra, e di quella forse ancor più stupefacente di servirsi delle leggi cosmiche come principi-guida per l'azione sulla terra. In confronto all'alienazione della terra che accompagna l’intero sviluppo delle scienze naturali nell'età moderna, l'allontanamento dalla prossimità terrestre promosso dalla scoperta del globo come totalità e l'alienazione del mondo prodotta dal duplice processo dell'espropriazione e dell'accumulazione della ricchezza sono fattori di minor rilevanza.
(H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, a cura di S. Finzi, introduzione di A. Del Lago, Bompiani, Milano 2000, pp. 190-196)