ADORNO, UTILITA' DEL BRUTTO

In questo passo della “Teoria Estetica”, Adorno propone una breve apologia del brutto visto come elemento che spinge l'arte all'inseguimento del bello. Un passo dal sapore vagamente eracliteo, nel ricordare la continua tensione dialettica tra elementi opposti che finisce per costituire il motore delle cose.

L'arte non si risolve nel concetto di bello ma, al contrario, per soddisfarlo, ha bisogno del brutto come negazione di quello. E ciò è un luogo comune. Ma con questo la categoria del brutto, come canone di proibizioni, non è semplicemente abolita. [...]Ma il fatto che l'arte abbia la forza di racchiudere in sé ciò che le sia contrario senza recedere neanche un po' dal proprio anelito e anzi trasforma quell'anelito in una forza di tal genere, è cosa che affratella il momento del brutto alla spiritualizzazione artistica; George lo notò con perspicacia nella prefazione alla traduzione delle Fleurs du mal. Il titolo Spleen et idéal allude a questo, ammesso che sotto la parola "spleen" sia lecito vedere l'ossessione nei confronti di ciò che è restio ad assumere una forma, l'ossessione nei confronti di un nemico dell'arte che si presenta come spinta all'arte allargando il concetto di questa ben oltre quello dell'ideale. A questo serve il brutto nell'arte.

(Th. W. Adorno, Teoria estetica, a cura di G. Adorno e R. Tiedemann. Trad. it. E. De Angelis, Torino, Einaudi, 1977, pp. 78-83)