78. Al di là dei monti. Biancaneve esprime la malinconia in modo più perfetto di ogni altra fiaba. L'immagine più pura di questo sentimento è quella della regina che guarda la neve che cade attraverso i vetri della finestra e si augura di avere una bambina che somigli alla bellezza senza vita e pur vivente dei fiocchi, alla tinta nera e luttuosa del telaio della finestra e alla goccia di sangue che scaturisce dalla puntura; e che muore proprio nel momento in cui essa nasce. Questa impressione iniziale non può essere cancellata nemmeno dal lieto fine della favola. Come l'esaudimento della preghiera non era altro che la morte, così anche il salvataggio finale rimane una semplice apparenza. Poiché la percezione più profonda del lettore o dell'ascoltatore non riesce a credere che sia stata svegliata effetivamente la fanciulla che giaceva come se dormisse nella sua bara di vetro. E il boccone di mela avvelenato che le esce dalla gola per effetto delle scosse subite durante il viaggio non è forse, piuttosto che lo strumento adoperato per ucciderla, l'ultimo resto della vita sciupata e messa al bando, da cui essa guarisce veramente soltanto ora, che non è più esposta alle tentazioni di nessuna falsa messaggera? E come suona fragile e caduca la felicità espressa nelle parole: "allora Biancaneve gli volle bene e andò insieme a lui". Come è smentita, subito dopo, dalla perfidia del trionfo che è celebrato sulla malvagità*. Così una voce ci dice, quando speriamo nella salvezza, che la nostra speranza è vana, eppure è soltanto lei, la speranza impotente, a permetterci anche solo di tirare il fiato. Ogni contemplazione e speculazione filosofica non può fare altro che ricalcare pazientemente, in figure e abbozzi sempre nuovi, l'ambiguità della malinconia. La verità è inseparabile dall'illusione che un giorno, dalle figure e dai simboli dell'apparenza, possa emergere, nonostante tutto, libera da ogni traccia di apparenza, l'immagine reale della salvezza.
* Si allude qui all'episodio della morte della regina (la matrigna di Biancaneve) [...]
(Th. W. Adorno, Minima Moralia (meditazioni della vita offesa), Torino, Einaudi, 1994, p. 140-141, traduzione di Renato Solmi)