ADORNO, CONTRO LA COSIDDETTA ONESTA' INTELLETTUALE
L'esortazione all'onestà intellettuale si risolve perlopiù in un
sabotaggio dei pensieri. Si richiede, in altri termini, allo scrittore,
di riprodurre esplicitamente tutti i passi che lo hanno condotto alla
sua affermazione, e di mettere in grado ogni lettore di ripercorrere il
processo, e possibilmente -nel lavoro accademico -di duplicarlo.
Questa richiesta, oltre ad operare con la finzione liberale della
comunicabilità universale e ad libitum di ogni pensiero, e ad ostacolare
la sua espressione oggettivamente adeguata, è falsa anche come criterio
dell'esposizione. Poiché il valore di un pensiero si misura alla sua
distanza dalla continuità del noto, e diminuisce obbiettivamente col
diminuire di questa distanza; quanto più si avvicina allo standard
prestabilito, e tanto più sparisce la sua funzione antitetica; e solo in
questa funzione, nel rapporto patente col suo opposto, e non nella sua
esistenza isolata, è il fondamento della sua verità. Testi dove ogni
passaggio è accuratamente segnato, ed è evitata ogni discontinuità,
risultano inevitabilmente di una banalità e di una noia che non affetta
solo la tensione della lettura, ma la loro stessa sostanza. Gli scritti
di Simmel, per esempio, risentono tutti della contraddizione tra
l'eccentricità degli oggetti e la meticolosa lucidità dell'esposizione.
Lo stravagante risulta così il vero complemento di quella mediocrità in
cui Simmel vedeva -a torto- il segreto di Goethe. Ma, indipendentemente
da tutto ciò, la richiesta di onestà intellettuale è di per sé poco
onesta. Anche se fossimo disposti a far nostro, e cercassimo quindi di
applicare, il difficile e problematico monito di riprodurre,
nell'esposizione, il processo del pensiero, questo processo sarebbe
tanto poco un procedere discorsivo di gradino in gradino, quanto
poco -d'altra parte- le idee cadono dal cielo. La conoscenza si attua in
una fitta rete di pregiudizi, intuizioni, nervature, correzioni,
anticipi ed esagerazioni, cioè nel contesto dell'esperienza, che, per
quanto fitta e fondata, non è trasparente in ogni suo punto. La regola
cartesiana, che raccomanda di rivolgersi solo agli oggetti " di cui il
nostro spirito è in grado di acquistare conoscenza chiara e
indubitabile", con tutto l'ordinamento e la disposizione a cui si
riferisce, dà un'idea altrettanto falsa dell'esperienza quanto la teoria
opposta, ma intimamente affine, dell'intuizione delle essenze.
Se questa rinnega il principio logico, che si fa valere, nonostante
tutto, in ogni pensiero, quella lo accoglie nella sua immediatezza, in
quanto lo riferisce ad ogni singolo atto intellettuale, anziché mediarlo
attraverso il flusso dell'intera vita cosciente del soggetto. Ma in ciò
che si è detto è implicito il riconoscimento di una profonda
insufficienza. Poiché se i pensieri corretti si risolvono
infallibilmente in pure e semplici ripetizioni, sia del dato, sia delle
forme categoriali, il pensiero che rinuncia, in nome del rapporto al
proprio oggetto, alla piena trasparenza della sua genesi logica, resta
pur sempre in difetto, in quanto rompe la promessa che è implicita nella
forma stessa del giudizio.
Questa insufficienza somiglia alla linea della vita, che procede storta,
deludente rispetto alle proprie premesse, e solo in questo decorso, in
quanto è sempre meno di quello che dovrebbe essere, è in grado di
rappresentare, nelle condizioni date dell'esistenza, un esistenza non
regolamentata.
La vita che adempisse direttamente alla propria destinazione, in realtà
la mancherebbe. Un uomo che morisse vecchio, e nella coscienza di un
successo senza pecche, sarebbe, in segreto, il ragazzo modello che, con
uno zaino invisibile sulle spalle, supera tutti gli stadi senza
interruzioni o lacune. Ma in ogni pensiero non ozioso resta il segno
dell'impossibilità di una completa legittimazione: come, in sogno,
sappiamo di lezioni di matematica perdute per una beata mattina in
letto, e che non sono più ricuperabili. Il pensiero attende che un
giorno il ricordo di ciò che è stato perduto lo ridesti, e lo trasformi
in teoria.
(T. Adorno, Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa)