Come
la tolleranza unitaria ed 'ecumenica
66. Mèlange. L'argomento corrente della tolleranza, per cui tutti gli uomini, tutte le razze sarebbero uguali, è un boomerang, in quanto si presta alla facile confutazione dei sensi; e anche la dimostrazione antropologica più rigorosa che gli ebrei non sono una razza, non cambia nulla al fatto che, nel caso di un pogrom, i totalitari sanno benissimo chi vogliono uccidere e chi no. Che se si volesse porre come un ideale l'uguaglianza di tutto ciò che porta un volto umano, anziché presupporla come un fatto, ci si guadagnerebbe ben poco. L'utopia astratta sarebbe troppo facilmente conciliabile con le tendenze più mefistofeliche della società. Che tutti gli uomini si assomigliassesero, è proprio ciò che essa vorrebbe. Essa considera le differenze effettive o immaginarie come macchie ignominiose, che dimostrano che non si è ancora andati abbastanza avanti: che qualcosa è ancora sotratto al meccanismo, e non è ancora completamente determinato dalla totalità. [...] Ma una società emancipata non sarebbe lo Stato unitario, ma la realizzazione dell'universale nella conciliazione delle differenze. Una politica a cui questo stesse veramente a cuore, non dovrebbe propagare - neppure come idea - l'astratta eguaglianza degli uomini. Dovrebbe, invece richiamare l'attenzione sulla cattiva eguaglianza di oggi, sull'identità degli interessi dell'industria cinematografica e dell'industria bellica, e concepire uno stato di cose migliore come quello in cui si potrà essere diversi senza paura. Quando si attesta al negro che è perfettamente identico al bianco, mentre di fatto non lo è, gli si fa, in segreto, ancora una volta torto. Lo si umilia amichevolmente confrontandolo a un criterio rispetto al quale, sotto la pressione del sistema, si rivelerà necessariamente inferiore: e mostrarsi alla sua altezza sarebbe un merito assai dubbio. Del resto, i fautori della tolleranza unitaria sono sempre inclini all'intolleranza verso ogni gruppo che non si adatta: con l'ottuso entusiasmo per i negri si concilia l'indignazione per l'inciviltà ebraica. Il melting pot era un'istituzione del capitalismo industriale scatenato. L'idea di finirci dentro evoca il martirio, e non la democrazia.
(Th. W. Adorno, Minima Moralia (meditazioni della vita offesa), Torino, Einaudi, 1994, p. 114-115, traduzione di Renato Solmi)