Il soliloquia, composto nel 387, è un dialogo che si svolge tra Agostino e la ragione. La dimostrazione che la ragione darà di Dio, come si vedrà, risente fortemente dell'influenza platonica, in particolar modo nella distinzione tra concetto immutabile ed eterno, e realtà diveniente che ne è solo un riferimento: il concetto intelleggibile sopravvive alla sua forma sensibile.
"Ragione. Hai detto di voler conoscere con certezza Dio e l'anima, è vero? Agostino. Questo è quello che devo fare. R. E niente altro? A. Proprio no. R. Ma la verità non vuoi conquistarla? A. Oh, come se fosse possibile conoscere i primi senza trovare la seconda! R. Dunque è necessario prima conoscere questa, poi si potranno conoscere quelli. A. E' giusto. R. Allora vediamo questo anzitutto, se cioè, essendo "verità" e "vero" due parole distinte, ti sembra che queste due parole significhino due cose oppure una sola. A. A me sembra due. Se infatti, altro è castità e altro è casto, e potrebbero farsi tanti altri esempi del genere, così, io penso, altra cosa è la verità e altra è cio che è ciò che si dice vero. R. Quale di queste due cose ti sempbra più importante? A. Crederei la verità. Come la castità non è tale in forza del casto, ma il casto è tale per la castità, così anche ciò che è vero, è vero appunto per la verità. R. Se uno che sia casto muore, pensi che muia anche la castità? A. Niente affatto. R. Dunque se una cosa vera scompare, la verità non scompare. A. Come fa a sconparire una cosa vera? Non lo capisco. R. Questa domanda mi fa meraviglia. Non vediamo forse migliaia di cose sparire sotto gli occhi? Ovvero bisognerebbe dire che tu ritieni, per esempio, quest'albero non essere un albero vero altrimenti sarebbe eterno. Anche ammesso che tu non presti fede ai tuoi sensi, e che tu risponda di non sapere affatto se sia un albero, non potrai negare, mi sembra, che se è un albero è un albero, è un albero vero; cosa questa che non il senso, ma l'intelligenza afferma. Se infatti fosse un albero falso, non sarebbe un albero; ma se è un albero, non può non essere vero. A. Questo va bene. R. E allora, riguardo all'altro fatto, non ti sembra forse che l'albero appartenga a un genere di cose che nascono e finiscono? A. Non lo nego. R. E' perciò bisogna concludere che c'è qualcosa di vero che scompare. A. Lo ammetto. R. Un'ultima cosa ancora. Ti sembra, d'altra parte, che scomparendo le cose vere la verità non scompare, così come non muore la castità alla morte di colui che è casto? A. Va bene anche questo. E ora attendo con impazienza dove vuoi arrivare. R. Sta attento. A. Eccomi. R. Ti sembra che sia vero il detto "Ciò che esiste, deve esistere da qualche parte"? A. Vero quant'altro mai. R. E ammetti che la verità esista? A. Sì. R. E allora dobbiamo cercare dove sia. Non certo naturalmente nello spazio fisico, a meno che tu non ritenga esservi nello spazio qualche cosa oltre la materia, ovvero che la verità sia materia. A. Non penso nulla di simile. R. E allora dove credi che sia? Deve esserci un "dove" se ammettiamo che esiste. A. Se sapessi dov'è, forse non cercherei più altro. R. Per lo meno potresti renderti conto dove non è. A. Se mi fai qualche esempio, forse ci riesco. R. Non si trova certamente nelle cose che muoiono. Una cosa che è in un'altra, non vi può rimanere se non dura quest'altra. Ora, poco fa abbiamo ammesso che la verità sopravvive, anche quando le cose scompaiono. Dunque la verità non è nelle cose che muoiono. D'altra parte esiste, ed esiste in un luogo preciso. Dunque vi è qualcosa che non muore. Ma se in una cosa non c'è la verità, non è vera. da ciò risulta che non è vero se non ciò che è immortale."
(Agostino, Soliloquia, traduzione di F. V. Joannes, in Per conoscere Sant'Agostino, Mondadori, Milano 1967)