Dopo le vicende del processo a Eichmann, Arendt muta radicalmente la propria prospettiva circa il male: quest'ultimo cessa di essere inteso come "radicale" e viene ora concepito come "banale", ossia compiuto senza consapevolezza (talvolta addirittura a fin di bene) e per di più non da "mostri", ma da gente come noi.
Ho cambiato idea e non parlo più di "male radicale". […] Quel che ora penso veramente è che il male non è mai "radicale", ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso "sfida" […] il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e, nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità". Solo il bene è profondo e può essere radicale.
(H. Arendt, Lettera a Scholem, 1963)