Nel "De caelo", Aristotele fa un'ampia discussione del problema della unità e unicità del cosmo. Abbracciando una prospettiva d’insieme sulla totalità del mondo fisico, Aristotele non solo ha modo di richiamarsi agli argomenti propri della filosofia prima - che, come sopra segnalato, nel contesto non possono essere che quelli di Lambda, 8 -, ma in un lungo brano molto controverso [De caelo, I, 9, 279a 11-b 3] sembra ribadirne o anticiparne i tratti metafisici essenziali.
È insieme evidente anche che fuori del cielo non c’è né luogo, né vuoto, né tempo. In ogni luogo infatti può sempre trovarsi un corpo; vuoto poi dicono essere ciò in cui non si trova presente un corpo, ma può venire a trovarsi; tempo infine è il numero del movimento, e non c’è movimento dove non c’è un corpo naturale. Ma si è dimostrato che fuori del cielo non c’è né può venire ad esserci un corpo. È evidente dunque che fuori del cielo non c’è neppure luogo, né vuoto, né tempo.
Perciò gli enti di lassù non son fatti per essere nel luogo, né li fa invecchiare il tempo, né si dà alcun mutamento in nessuno degli enti posti al di là dell’orbita più esterna, ma, inalterabili e sottratti ad ogni affezione, trascorrono essi tutta l’eternità in una vita che di tutte è la migliore e la più bastante a se medesima. […]
È di lassù che dipende, per gli uni più manifestamente, per gli altri meno visibilmente, anche l’essere e la vita di quant’altro esiste.
Ed anche, come nelle trattazioni a carattere generale e divulgativo intorno alle cose divine, viene spesso in evidenza nel ragionamento che sempre il principio divino primo e supremo è di necessità sottratto ad ogni mutamento; ciò che, stando così, attesta la verità di quanto abbiamo detto. Non c’è infatti un altro ente ad esso superiore che possa imprimergli il movimento - questo sarebbe infatti più divino di esso -, né ha in sé nulla di vile, né è in difetto di alcuno dei beni ad esso propri.
Ed è conformemente a ragione che il primo cielo si muove di un moto incessante: tutti i corpi infatti cessano di muoversi una volta pervenuti nel luogo ad essi proprio, mentre per il corpo circolare uno e il medesimo è il luogo donde il moto inizia ed in cui ha fine.
(Aristotele, De caelo I, 9, 279a 11-b 3)