Aristotele, i tre usi della dialettica (Topici)

 

Nei "Topici" Aristotele distingue tre diversi usi della dialettica: 1) la dialettica è strumento utile ad esercitare la mente al ragionamento; 2) è utile a dialogare con gli altri; 3) è utile alla ricerca filosofica.



Questo trattato si propone di trovare un metodo che ci renda capaci di ragionare deduttivamente, a partire da endossa, su tutti i temi che ci si possono presentare; così quando dovremo affrontare un argomento non diremo nulla che sia contrario. Ora, per poter comprendere la natura della deduzione dialettica dobbiamo cominciare col dire che cos’è un ragionamento deduttivo e quali tipi ve ne siano. E’ questo l’oggetto specifico delle ricerche condotte nel nostro trattato. Un ragionamento deduttivo è una forma di argomentazione in cui, poste alcune cose, ne deriva necessariamente una cosa diversa da quelle che sono state poste, per il fatto stesso che sono state poste. Si tratta di un dimostrazione quando i punti di partenza della deduzione sono affermazioni vere e prime, o almeno affermazioni che conosciamo perché derivano da certe affermazioni prime e vere; si tratta invece di una deduzione dialettica quando i punti di partenza della deduzione sono endossa. Sono vere e prime le affermazioni che ci convincono di per sé, non perché siano fondate su qualche altro ragionamento (infatti, quando ci troviamo di fronte ai prìncipi primi della conoscenza non possiamo porre ulteriormente la domanda sul loro fondamento: ciascuno di essi, in sé considerato, deve essere totalmente convincente); sono invece endossa le opinioni condivise da tutti gli uomini, o quasi da tutti, o da coloro che consideriamo più autorevoli e, tra questi ultimi, condivise da tutti o quasi, o da coloro di cui abbiamo ragione di fidarci di più. Una deduzione, poi, è eristica quando prende come punto di partenza idee che hanno l’aria di essere degli endossa, ma non lo sono realmente; la deduzione eristica, quindi, ha l’aria di essere una deduzione dialettica, ma non lo è affatto. Non possiamo infatti pensare che tutto ciò che ci si presenta come endossa lo sia davvero: non abbiamo elementi per riconoscere a prima vista gli endossa autentici, mentre accade che il ragionamento eristico lo si riconosce più facilmente. In questo tipo di ragionamento, infatti, la natura dell’inganno è subito chiara con grande evidenza se si è in grado di osservare le cose con finezza. Delle due forme qui distinte possiamo chiamare la prima deduzione eristica, ma allo stesso tempo anche deduzione dialettica vera e propria, mentre chiameremo la seconda deduzione eristica, ma non anche deduzione dialettica, perché sembra esserlo ma non lo è affatto. Ai diversi tipi di ragionamenti deduttivi che abbiamo indicato è necessario aggiungere i paralogismi, che sono forme di ragionamento proprie di determinate scienze, per esempio della geometria o delle discipline dello stesso tipo. I paralogismi sono ragionamenti ben distinti da quelli che abbiamo prima descritto perché chi ragiona a partire da una figura che contiene un errore non parte né da affermazioni vere e prime né da endossa (il suo punto di partenza è diverso: non parte da opinioni condivise da tutti gli uomini, o quasi da tutti, o da coloro che consideriamo più autorevoli e, tra questi ultimi, condivise da tutti o quasi, o da coloro di cui abbiamo ragione di fidarci di più). Nel suo ragionamento parte piuttosto da considerazioni che sono proprie delle scienze considerate; solo che si tratta di considerazioni errate. Infatti, tracciando dei semicerchi in modo sbagliato, o disegnando delle linee in modo diverso da come si dovrebbe, si finisce col fare dei paralogismi. Sono questi quindi, per sommi capi, i vari tipi di ragionamento deduttivo. Dobbiamo subito osservare che, per tutte le distinzioni che abbiamo fatto, come per quelle che faremo in seguito, approfondiremo il discorso fino al punto in cui lo abbiamo fatto fin qui, poi ci fermeremo e non andremo oltre: il nostro obiettivo, infatti, non è di dare per ciascuno degli oggetti delle nostre distinzioni una descrizione rigorosa e del tutto esatta; vogliamo soltanto presentarle sommariamente, perché pensiamo che questo sia ampiamente sufficiente. L’obiettivo che vogliamo raggiungere, infatti, è che si possa riconoscere subito di che tipo di ragionamento si tratta. Dopo quanto abbiamo detto, sarà bene indicare il numero e la natura dei vantaggi che è legittimo attendersi dal presente trattato. Ora, la dialettica consente di fare bene tre cose: tenere la mente in esercizio, dialogare con gli altri, fare ricerca filosofica. Che la dialettica possa servire a tenere la mente in esercizio deriva dalla sua natura: infatti, una volta imparato il metodo, possiamo più facilmente ragionare su qualsiasi argomento ci si presenti. E’ utile per dialogare con gli altri perché ci rende capaci di conoscere a fondo le opinioni degli uomini: e così quando parleremo con le altre persone per convincerle a rinunciare ad affermazioni che ci sembrano del tutto inaccettabili, non partiremo da convinzioni che sono loro estranee, ma partiremo proprio dalle loro idee. Che la dialettica sia utile per fare ricerca filosofica deriva da questo, che con essa diveniamo capaci di mettere in luce una aporia argomentando in una direzione e nell’altra, e saremo quindi in grado di distinguere su ciascun argomento il vero e il falso. La dialettica, poi, può esserci di utilità anche in un’altra cosa, a proposito delle nozioni prime di ciascuna scienza. E’ impossibile infatti dire su che cosa si fondino i princìpi specifici di una scienza che vogliamo studiare, perché i princìpi sono proprio ciò che viene prima di ogni altra cosa per quella scienza: devono quindi essere definiti a partire dagli endossa. Questo compito è proprio della dialettica, o almeno è soprattutto della dialettica: infatti la sua vocazione alla ricerca la rende adatta a studiare i princìpi di tutte le scienze. Ci saremo pienamente impadroniti del metodo quando ne avremo la stessa padronanza che altri hanno della retorica, della medicina e delle altre scienze. Non possiamo infatti dire che l’oratore convince sempre il suo pubblico, e neppure che il medico guarisce sempre l’ammalato: ma se l’oratore e il medico hanno fatto tutto quello che potevano fare con i mezzi a loro disposizione, possiamo certamente dire che essi hanno il pieno possesso del sapere della loro arte. Per prima cosa, adesso, dobbiamo esaminare quali sono gli elementi costitutivi del nostro metodo. Se potremo conoscere il numero e la natura degli oggetti su cui è possibile costruire i nostri ragionamenti e identificare i loro elementi costitutivi; se potremo imparare come si fa a non essere mai a corto di argomentazioni; allora potremo considerare davvero concluso il nostro programma di lavoro. Ora, c’è una identità di numero e di natura tra gli elementi costitutivi dei ragionamenti e gli oggetti propri delle deduzioni dialettiche. Infatti gli elementi costitutivi del ragionamento sono le premesse, mentre gli oggetti sui quali vertono le deduzioni sono i problemi. Ogni premessa, come ogni problema, mostra o il genere, o il proprio o un accidente (non aggiungiamo la differenza, perché essendo di natura generica deve essere compresa nel genere). Ma poiché accade talvolta che il proprio esprima ciò che conta dell’essenza di un oggetto, e talvolta accade che non la esprima, dividiamo il proprio nelle due parti corrispondenti e lo chiamiamo "definizione" quando esprime l’essenza, mentre nell’altro caso lo chiamiamo semplicemente "proprio", in generale. A causa di queste considerazioni, è chiaro che le distinzioni che stiamo facendo portano a quattro termini in tutto: proprio, definizione, genere, accidente. Tuttavia attenzione: noi non sosteniamo che ciascuno di questi quattro termini costituisca in sé una premessa o un problema; diciamo soltanto che è all’origine dei problemi e delle premesse. Tra un problema e una premessa c’è una differenza nel modo in cui li esprimiamo. Infatti se si dice: "Animale terrestre bipede è la definizione dell’uomo?", oppure: "L’essere animale è il genere dell’uomo?" questa è una premessa; ma se si dice: "Possiamo o no dire che animale terrestre bipede sia una definizione dell’uomo?" allora è un problema; e così è per casi analoghi. Per conseguenza è del tutto ovvio che problemi e premesse siano in numero uguale, perché da ogni premessa si può formare un problema, sostituendo semplicemente una espressione con un’altra. (…) Cominciamo quindi col determinare che cos’è una premessa dialettica e che cos’è un problema dialettico. Sarebbe un errore, infatti, considerare ogni premessa e ogni problema come dialettici; infatti nessuna persona ragionevole proporrebbe come premessa un’opinione universalmente rifiutata, e non porrebbe come problema una questione perfettamente chiara per tutti; in quest’ultimo caso non c’è alcuna ragione di dubbio e nel caso precedente non c’è nessun motivo di far quella scelta. Una premessa dialettica nasce dal mettere in forma interrogativa un’idea ammessa da tutti, o da quasi tutti o da coloro che rappresentano l’opinione più accreditata, e di questi ultimi l’opinione di tutti o di quasi tutti, o dei più noti; ma non deve essere un paradosso; infatti un’idea che fa parte di una opinione condivisa ha tutte le possibilità di essere accolta sempre che non contraddica l’opinione comune. Sono ancora premesse dialettiche gli enunciati che somigliano alle idee accolte; lo sono anche quelle contrarie alle idee accolte, ma in forma negativa; lo sono infine tutte le opinioni in accordo con le scienze e le tecniche ben consolidate. ( …) Si presenterà poi come un’idea egualmente accolta, per comparazione con un enunciato dato, quella che enuncia il contrario a proposito del contrario: per esempio, se bisogna trattare bene i propri amici, bisogna trattare male i propri nemici. C’è però apparentemente un contrasto tra il trattare bene i propri amici e il trattare male i propri nemici; ma se si dà veramente questo caso o no, lo diremo quando tratteremo espressamente dei contrari. E’ chiaro infine che tutte le opinioni in accordo con le scienze e le tecniche sono delle premesse dialettiche perché le opinioni di coloro che hanno studiato queste materie hanno ogni possibilità di essere accettate, per esempio quelle dei medici in materia di medicina, quelle dei geometri in materia di geometria e così gli altri." Un problema dialettico è una questione il cui obiettivo può essere sia l’alternativa pratica tra la scelta e un rifiuto, sia l’acquisizione di una verità e di una conoscenza; una questione che sia tale sia in se stessa, sia come mezzo che permetta di risolvere una questione distinta da essa, nell’uno o nell’altro di questo generi; una questione, infine, che tratti un argomento su cui non ci sono opinioni in un senso o nell’altro, o su cui l’opinione media contraddica l’opinione più qualificata, o in cui l’opinione più qualificata contraddica l’opinione media o in cui ciascuna delle due sia in se stessa contraddittoria. Alcuni problemi infatti è utile risolverli soprattutto per sapere se vanno presi o lasciati, per esempio il problema di sapere se il piacere deve o no essere scelto; altri sono utili a fini di pura conoscenza come sapere se il mondo è eterno o no. Altri ancora non hanno in sé nessuno di questi due caratteri, ma sono degli strumenti che permettono di risolvere problemi di un tipo o dell’altro; e infatti vi sono cose che noi speriamo di conoscere non in se stesse ma in vista di altro, per conoscere altre cose grazie ad esse. Sono problemi dialettici anche le questioni sulle quali esistono argomentazioni deduttive di segno opposto (si esita allora a rispondere mediante un’affermazione o una negazione perché esistono per entrambi delle argomentazioni persuasive); poi vi sono le questioni a proposito delle quali non abbiamo argomenti da dare, tanto sono vasti, e su cui riteniamo difficile motivare le nostre scelte, per esempio sapere se il mondo è eterno o no; argomenti di questo genere possono diventare l’oggetto di una ricerca. Diamo dunque per acquisite le definizioni che abbiamo appena dato sui problemi e le premesse. La tesi dialettica Una tesi è un pensiero paradossale, sostenuto da qualche filosofo molto noto: per esempio, che è impossibile contraddire, come ha detto Antistene, o che tutte le cose sono in movimento, come dice Eraclito, o che l’essere è uno, come dice Melisso (va notato che se fosse il primo venuto a proporre paradossi simili sarebbe assurdo prestarvi attenzione); sono tesi anche gli enunciati paradossali in favore dei quali disponiamo di una argomentazione, per esempio quello che dichiara falso che tutto ciò che è deve necessariamente o essere divenuto, o essere eterno, come hanno sostenuto i sofisti; infatti se uno è grammatico ed è anche musicista non è né divenuto né eterno; ecco una conclusione che alcuni rifiutano, ma che ha dei numeri per essere accettata, perché ha un argomento a suo favore. Anche una tesi è dunque, in fondo, un problema; ma non ogni problema è una tesi, perché alcuni problemi sono questioni di natura tale che non abbiamo alcuna opinione, né in un senso né in un altro. Che una tesi sia anche un problema, è chiaro; dopo quanto abbiamo detto, infatti, va necessariamente ammesso che la tesi sia oggetto di uno scontro di opinioni, sia tra le opinioni comuni e quelle degli esperti, sia all’interno dell’uno o dell’altro di questi gruppi, perché una tesi è un pensiero paradossale. Ma in pratica, attualmente, si chiamano tesi tutti i problemi dialettici; poco importa d’altra parte che li si chiami in un modo o nell’altro; perché se distinguiamo come abbiamo fatto le due nozioni, non è per volontà di creare un vocabolo nuovo, ma perché le differenze che possono realmente esistere tra loro non ci sfuggano. Non bisogna indagare qualsiasi problema e qualsiasi tesi, ma soltanto quelle che potrebbero mettere in imbarazzo un interlocutore che merita da noi una risposta razionale, e non soltanto che lo si corregga o lo si rimandi all’esperienza; coloro infatti che sollevano la questione se la neve è bianca o meno, non meritano che di essere rinviati all’esperienza. Non vanno poi esaminati i casi in cui la dimostrazione sarebbe immediata, né quelli in cui sarebbe troppo lunga; perché i primi non mettono in imbarazzo nessuno, mentre i secondi sollevano questioni tali che non possono essere trattati nei limiti di un esercizio dialettico.

 

(Aristotele, Topici, I, 1-4, 10-11)