La dura presa di posizione di
Bacone contro la tradizione si rivolge anzitutto all'autorità di Platone e di
Aristotele, che sono di ostacolo al “parto maschio del tempo”.
F.
Bacon, Temporis partus masculus
Non mi
nascondo affatto, figlio mio, che è necessario tener lontani questi
filosofastri piú pieni di favole di quanto non lo siano gli stessi poeti,
corruttori degli spiriti, falsificatori delle cose; e piú ancora i loro
satelliti e parassiti e tutta questa turba venale di professori. Chi mi
suggerirà le parole perché io possa consacrarli all'oblio? Perché infatti la
verità dovrà starsene silenziosa mentre costoro strepitano con i loro insensati
e inarticolati ragionamenti? Forse sarebbe piú sicuro colpirli uno per uno,
nominativamente, perché, siccome godono di tanta autorità, i non nominati non
si credano esclusi e perché qualcuno (dato che fra loro sono continuamente
presenti odi mortali e gravissimi e che essi lottano con profonda inimicizia)
non creda che io mi sia gettato in mezzo a queste battaglie di larve e di ombre
per aiutare una delle parti in lotta.
Pertanto si
chiami alla sbarra Aristotele, questo detestabile sofista, questo entusiasta
per le inutili sottigliezze, questo vile ludibrio delle parole. Quando lo
spirito umano, spinto per caso come da un vento favorevole verso una qualche
verità, sembrava in essa riposarsi, costui osò imporre agli spiriti ostacoli
gravissimi, osò mettere insieme una specie di arte della irragionevolezza e
pretese di renderci schiavi delle parole. Da lui sono giunti fino a noi e dal
suo seno hanno tratto nutrimento quei cavillosi chiacchieroni che, essendosi
allontanati da ogni indagine mondana e misconoscendo la luce della storia e dei
fatti, son giunti, con l'aiuto della duttile materia dei precetti e delle tesi
di costui e grazie al perpetuo agitarsi del loro spirito, a porre di fronte a
noi questa enorme quantità di feccia scolastica. E il loro dittatore,
Aristotele, è tanto piú colpevole proprio perché, essendo penetrato nelle regioni
piú luminose della storia, non ne trasse che gli oscuri simulacri di una
qualche sotterranea spelonca.
Sopra la
storia dei fatti particolari egli ha costruito certe ragnatele che presenta
come cause mentre son prive di ogni consistenza e valore. Opera questa
perfettamente simile a quella costruita con grande affanno ai giorni nostri da
Gerolamo Cardano che è anch'egli, come Aristotele, in continua contraddizione
con le cose e con se stesso.
E non
pensare, figlio mio, che io, condannando cosí Aristotele, abbia qualcosa in
comune con quel tal novatore Pietro Ramo che si è ribellato ad Aristotele. Non
ho nulla da spartire con questo covo di ignoranza, con questo pericolosissimo
tarlo delle lettere, con questo padre dei manuali che, con la ristrettezza del
suo metodo e dei suoi sommari, preme e contorce la realtà; e la realtà, se un
po' ce n'è, subito scivola e sfugge ed egli non riesce a trattenere che aride e
vuote sciocchezze. Anche l'Aquinate, insieme a Scoto e alla sua banda,
trasportò nel non-essere la varietà delle cose e nelle cose il deserto del
non-essere. Ed essendo ciò proprio dell'uomo, impudentemente egli parla di usi
umani, in modo tale da sembrarmi inferiore agli stessi Sofisti. Ma lasciamo da
parte questa gente.
Si chiami
ora alla sbarra Platone, questo sfacciato cavillatore, questo gonfio poeta,
questo delirante teologo. Certo tu, o Platone, mentre ricercavi non so quali
dicerie filosofiche e le mettevi insieme alla meglio e fingevi, occultando la
tua ignoranza, di possedere la scienza, e mentre allettavi e soddisfacevi gli
spiriti con vaghe induzioni, hai almeno avuto il merito di fornire argomenti
per i discorsi che fanno a tavola i letterati e gli uomini colti e di
aggiungere grazia e piacevolezza alle conversazioni quotidiane. Quando però
asserisci falsamente che la verità è abitante nativo della mente umana e non
viene dall'esterno, quando distogli le nostre menti, mai sufficientemente
attente ed obbedienti alla storia e alla realtà, quando ci insegni a volgerle
all'interno e ad umiliarci davanti ai nostri idoli ciechi e confusi sotto il
nome di contemplazione, tu commetti una colpa capitale. E inoltre, con un
peccato non meno grave, hai fatto l'apoteosi della follia e hai osato
puntellare i tuoi pensieri spregevoli con l'appoggio della religione. È un male
minore poi che tu sia stato il padre dei filologi e che molti, sotto la tua
direzione e il tuo auspicio, sedotti e attratti dalla fama e dal volgare e
molle piacere della contemplazione delle cose, abbiano corrotto la severa
indagine sulla verità. Fra questi ultimi furono Marco Cicerone, Anneo Seneca,
Plutarco di Cheronea e molti altri ad essi inferiori.
(Il pensiero di F. Bacon, a
cura di P. Rossi, Loescher, Torino, 1974, pagg. 9-13)