Ai tempi di Bayle era opinione
diffusa che la professione di ateismo implicasse un comportamento immorale, o
quanto meno amorale. Contro questa opinione Bayle difende la morale degli atei.
P. Bayle, Pensieri diversi
sulla cometa, parr. CLXXI, CLXXV, CLXXVII
Da tutto quanto son venuto
dicendo, traggo la seguente conclusione: è il piacere e la facilità di
procurarsi il piacere che rende certi vizi piú comuni di altri, e non certo le
opinioni che si possono avere intorno alla malizia piú o meno grande di certi
vizi; e per conseguenza che la religione (perché è qui che volevo arrivare) non
serve sotto questo profilo se non a offrire lo spunto per belle declamazioni
dal pulpito, e a farci conoscere il nostro dovere; dopo di che ci comportiamo
lasciandoci esclusivamente guidare dal nostro gusto per i piaceri. Ne risulta
che gli atei, i quali non fanno che seguire la stessa direzione, non sono
necessariamente piú corrotti che gli idolatri, benché non abbiano, come costoro,
questa o quella particolare opinione intorno al male e ai suoi castighi.
Possiamo ora renderci conto come
sia perfettamente verosimile che una società di atei si comporti secondo norme
civili e morali allo stesso modo delle altre società, purché essa provveda a
far punire severamente i delitti, e attribuisca a determinate azioni carattere
onorevole o infamante. Come l'ignoranza di un primo essere creatore e
conservatore del mondo non impedirebbe ai membri di tale società di essere
sensibili alla gloria e al disprezzo, alla ricompensa e alla pena, e a tutte le
passioni che riscontriamo negli altri uomini e non offuscherebbe minimamente i
lumi della ragione, cosí potremmo trovare tra loro gente leale nel commercio,
caritatevole verso i poveri, nemica dell'ingiustizia, fedele agli amici, capace
di sopportare le ingiurie, di rinunciare alle voluttà del corpo, incapace di
fare torto a chicchessia; sia perché il desiderio di lode la spinga a tutte
queste belle azioni, che non potrebbero non avere la pubblica approvazione, sia
perché spinta dal desiderio di conservarsi amici e protettori in caso di
bisogno. Le donne rispetterebbero scrupolosamente la pudicizia, come mezzo
infallibile per acquistare l'amore e la stima degli uomini. Non dubito affatto
che potrebbero anche accadere delitti di ogni specie, ma non piú che nelle
società degli idolatri, perché tutti i movimenti dei pagani, sia per il bene
che per il male, si troverebbero identici in una società di atei, cioè le pene
e le ricompense, la gloria e l'ignominia, il temperamento e l'educazione.
Perché per quanto concerne la Grazia santificante, che ci riempie di amore di
Dio, e ci fa trionfare sulle nostre cattive inclinazioni, i pagani ne sono
tanto sprovveduti quanto gli atei.
Chi voglia pienamente convincersi
che un popolo privo della conoscenza di Dio si imporrebbe regole d'onore e le
osserverebbe con grande scrupolo, non ha che da esaminare quel certo concetto
mondano di onore, diffusissimo tra i cristiani, e che è diametralmente
contrario allo spirito del Vangelo. Vorrei proprio sapere di dove è
stato ricavato questo concetto, idolatrato dai cristiani, che sono disposti a
sacrificargli ogni cosa. é forse perché essi sono persuasi che c'è un Dio, un Vangelo,
una Resurrezione, un Paradiso, un Inferno, che credono di violare tali regole
dell'onore lasciando impunito un affronto, cedendo il passo a un altro, o
avendo meno alterigia e meno ambizioni dei propri pari? La risposta non è
dubbia [...].
Se poniamo a confronto il
comportamento di diverse nazioni, tutte professanti ugualmente il
cristianesimo, vedremo che una cosa ritenuta disonesta in un paese, non lo è
affatto in un altro. Bisogna dunque ammettere che le idee di onestà diffuse tra
i cristiani non provengono affatto dalla religione che essi professano [...].
Riconosciamo dunque che il genere umano possiede certe idee intorno all'onore
che sono opera della natura, cioè della provvidenza generale. Riconosciamolo
soprattutto per quanto concerne quel tipo di onore di cui i nostri valentuomini
sono cosí gelosi, e che è cosí contrario alla legge di Dio. Dopo di che, come
si può ancora dubitare che la natura dia luogo anche fra gli atei, nei quali
manca la remora della conoscenza del Vangelo, a quegli atteggiamenti che
esso suscita fra gli stessi cristiani?
Si immagina forse che un ateo,
essendo persuaso che la sua anima muore con il corpo, non sia indotto a
compiere alcuna azione degna di lode per quel desiderio di immortalare il suo
nome, che ha invece tanto potere sullo spirito degli altri uomini. Ma si tratta
di un convincimento falsissimo; è infatti assolutamente certo che coloro i
quali hanno fatto grandi cose per il desiderio di essere lodati dalla
posterità, non sono stati affatto lusingati dalla speranza di sapere nell'altro
mondo che cosa si sarebbe detto di loro una volta morti [...].
Dunque, non è certo la credenza
nell'immortalità dell'anima che induce ad amare la gloria; e per conseguenza,
gli atei sono altrettanto capaci di aspirare a una eterna reputazione quanto i
credenti [...].
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV, pagg. 458-461)