Bayle, Miracoli e leggi naturali

Bayle affronta il tema della teodicea, collegandolo alle leggi naturali e alla questione dei miracoli.

P. Bayle, Pensieri diversi sulla cometa, par. CCXXXIV

 

So bene che quando si vuole una cosa, si vuole anche tutto ciò che è necessariamente connesso con essa; e per conseguenza, che Dio non potrebbe volere le leggi generali senza volere tutti gli effetti particolari che ne devono necessariamente risultare. So molto bene tutto questo, Signore, ma so anche che ci sono cose che noi vogliamo, non già a causa di queste cose stesse, ma perché sono unite a determinate altre; e in tal caso si può dire molto correttamente che noi non le vogliamo affatto per una volontà particolare e diretta. Se ci è consentito giudicare delle azioni di Dio, possiamo dire che egli non vuole affatto tutti gli eventi particolari a causa della perfezione che si può trovare in essi, ma solo per il fatto che sono connessi alle leggi generali che egli ha scelto come norme delle sue operazioni. Non c’è il minimo dubbio che quando Dio si è determinato ad agire al di fuori di sé, non abbia scelto un modo di agire assolutamente degno dell’Essere sovranamente perfetto; cioè, che fosse infinitamente semplice e uniforme, e tuttavia di una fecondità infinita. Si può persino arrischiare di pensare che la semplicità e l’uniformità di un certo modo d’agire, unite a una fecondità infinita, gli sia apparso preferibile, anche se doveva risultarne qualche evento superfluo, a un altro modo di agire piú complicato e piú regolare. Nulla è piú utile di una tal supposizione per risolvere mille difficoltà che sono state fatte contro la provvidenza divina; perciò non bisognerebbe condannarla, prima di averla accuratamente esaminata. Ora, consegue da un tal principio che Dio non ha voluto ciascun particolare evento, se non perché era incluso nel piano generale che egli aveva scelto; e per conseguenza, che egli non si è proposto affatto fini particolari, quando ha colpito gli idolatri con la peste o con la fame. E cosí sarebbe insensato domandarsi perché Dio ha fatto cose capaci di rendere gli uomini piú cattivi: sarebbe infatti come domandarsi perché Dio ha eseguito il suo piano (il quale non può essere che infinitamente buono) attraverso le vie piú semplici e piú uniformi, e perché non ha impedito, mediante un complicato sistema di decreti che incessantemente interferissero gli uni sugli altri, il cattivo uso del libero arbitrio da parte dell’uomo. Ma la questione sorge se si suppone che la peste e la fame accadano per miracolo, perché nei miracoli Iddio esercita una volontà particolare. Allora sarebbe lecito domandarsi come sia possibile che Dio abbia una volontà particolare il cui risultato non faccia altro che rendere l’uomo ancor piú cattivo; e si potrebbe persino sostenere l’impossibilità per Dio di emettere decreti di tal natura. Vedete dunque, Signore, che essendo i miracoli volontà particolare di Dio, devono avere uno scopo degno di Lui; devono tendere cioè cosí chiaramente e distintamente a far conoscere all’uomo il vero Dio, da non lasciare adito al minimo dubbio se sia Giove che agisca o il Creatore delle cose. Dal che consegue che esiste una enorme differenza fra chi dice che Dio ha cercato di scuotere i popoli mediante segni miracolosi, e chi afferma invece che lo ha fatto servendosi dell’azione naturale dei corpi.

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV, pagg. 462-464