Bayle si schiera a favore della
tolleranza non soltanto per motivi “di principio”: egli cerca di mostrare anche
i molteplici effetti positivi che possono scaturire dalla pratica della
tolleranza.
P. Bayle, Commentario
filosofico, par. II, cap. VI
Si suol dire che non esiste peste
peggiore per uno stato che la molteplicità delle religioni, la quale provoca
discordie tra vicini, tra padri e figli, tra mariti e mogli, tra principi e
sudditi. Rispondo che un tal discorso, ben lungi dall'essere un argomento
contro di me, è anzi una prova assai forte in favore della tolleranza; infatti
se la molteplicità delle religioni nuoce a uno stato, è unicamente perché l'una
non vuole tollerare l'altra, ma assorbirla avvalendosi delle persecuzioni. Hinc
prima mali labes; è questa l'origine del male. Se ciascuno praticasse la
tolleranza che io vengo predicando, ci sarebbe la stessa concordia in uno stato
diviso fra dieci religioni, che in una città nella quale le diverse consorterie
di artigiani si tollerano e si sopportano a vicenda. Tutto ciò che potrebbe
nascerne, anzi, sarebbe una onesta emulazione a chi piú si segnalasse per
pietà, per buoni costumi, per scienza; ciascuna si farebbe un punto di onore di
dimostrare che è la piú vicina a Dio, dando prova di un maggiore attaccamento
alla pratica delle opere pie e dell'amore per la patria, a patto che il sovrano
le protegga tutte ugualmente, tenendole in equilibrio con la sua equità. Ora, è
evidente che una cosí bella emulazione sarebbe causa di un'infinità di beni, e
per conseguenza la tolleranza appare, fra tutte le cose del mondo, la piú
adatta a riportarci all'età dell'oro, a creare un concerto e un'armonia di piú
voci e strumenti di diversi toni e note almeno altrettanto gradevole quanto
l'uniformità di una voce sola. Che cosa dunque impedisce questo bel concerto di
voci e toni cosí diversi gli uni dagli altri? Si è che una delle due religioni
pretende di esercitare una crudele tirannia sugli spiriti, e forzare gli altri
a sacrificare ad essa le loro coscienze; si è che i re fomentano questa
ingiusta parzialità, abbandonando il braccio secolare alla furia tumultuosa di
monaci ed ecclesiastici; in una parola, tutti i mali derivano non già dalla
tolleranza, ma dalla intolleranza [...].
Per quanto concerne quell'enorme
miscuglio di sètte, indegno della religione, che si pretende abbia origine
dalla tolleranza, affermo che si tratta del male minore e meno vergognoso per
il cristianesimo in confronto ai massacri, ai patiboli, ai saccheggi e a tutte
le crudeli esecuzioni capitali con i quali la Chiesa romana ha cercato, senza
riuscirvi, di conservare l'unità. Ognuno che sappia rientrare in se stesso e
consultare la propria ragione, sarà piú urtato leggendo nella storia del
cristianesimo questa lunga serie di delitti e di violenze, di quanto potrebbe
esserlo vedendo la religione divisa in mille sètte; quando si rendesse conto
che è umanamente inevitabile che gli uomini concepiscano, in secoli e paesi
diversi, le dottrine della religione in modo diverso, e interpretino variamente
ciò che è suscettibile di interpretazioni varie. Tutto ciò deve dunque urtarci
meno, che non il vedere un uomo torturarne un altro per fargli ammettere
opinioni che non condivide, fino a condannarlo al rogo in caso di rifiuto.
Quando si riconosce che non siamo padroni delle nostre idee, e che una legge
eterna ci proibisce di tradire la nostra coscienza, non si può che fremere di
orrore per coloro che straziano il corpo di un uomo, perché costui professa
certe idee invece di certe altre, o perché vuole seguire i lumi della sua
coscienza; è cosí che i nostri operatori di conversioni, per cancellare uno
scandalo del cristianesimo, ne creano uno assai piú grande [...].
Cosí la vera religione non può
intraprendere secondo giustizia, contro le false, quelle stesse azioni che essa
troverebbe ingiuste se perpetrate da queste ultime nei suoi confronti; di modo
che, quando anche fosse vero (il che non è), che la Chiesa romana sia la
religione vera, essa non potrebbe se non violando la giustizia toglierci i
nostri bambini, né quelli degli ebrei o dei turchi, dal momento che non può
disconoscere che se noi portassimo via i bambini dei cattolici per istruirli
nella nostra religione, commetteremmo un'ingiustizia palese. Il dire infatti,
come molti fanno, che la violenza perpetrata ai danni dei nostri bambini si
volge a loro profitto, perché li salva dall'inferno, non significa nulla;
perché gli Inglesi, i Turchi, gli Ebrei che rapissero i bambini cattolici,
potrebbero difendersi con lo stesso argomento, non essendo essi meno persuasi
che ci si danna al di fuori della loro religione, di quanto non lo siano i
membri della Chiesa romana.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV, pagg. 471-473)