La storia
moderna si è distinta per il grande spreco di energie spirituali e per la
dispersione (perdita del centro). Nella ricerca di nuovi punti di riferimento
comincia una storia nuova, che per analogia il filosofo russo Nicolaj Berdiaev
chiama “nuovo Medioevo”. Alla fine egli conclude che il senso della storia è
metastorico.
N. A. Berdiaev, Il senso della storia:
saggio di una filosofia del destino umano
Ho già cercato di spiegare questo spreco di forze dell’uomo della storia moderna, quando parlai del passaggio dal medioevo al Rinascimento. Mentre il medioevo con l’ascetica, il monachesimo e la cavalleria seppe preservare le forze umane dallo sperpero e dalla dissoluzione perché potessero fiorire creativamente all’inizio del Rinascimento, tutto il periodo umanistico negò la disciplina ascetica e la subordinazione ai principi supremi sovrumani. È un periodo per il quale è caratteristico lo spreco delle forze umane. Ora questo non può non comportare un esaurimento, il quale in ultima analisi deve portare a una perdita del baricentro nella persona umana che ha cessato d’imporsi una disciplina. Una persona di tal genere deve gradatamente perdere la sua autocoscienza, la sua individualità, la sua specificità, e noi lo notiamo decisamente in tutte le correnti della cultura attuale, nel socialismo, nel monarchismo, nell’imperialismo, nelle nuove correnti dell’arte e dell’occultismo. Decisamente in tutte si avvisa lo scrollo dell’ideale umano, la dissoluzione della personalità umana che era stata forgiata nel cristianesimo e che la cultura europea aveva il compito di forgiare. La persona incomincia a indebolirsi e a perdere nell’intimo la sua configurazione, la sua autocoscienza, il suo sostegno spirituale interiore. Ed ecco che si comincia a cercare un centro spirituale al quale collegarsi per poter ripristinare le energie minate della persona. L’individualità umana sente che lungo le vie libere da lei percorse durante il periodo rinascimentale la minacciano un esaurimento crescente e la perdita della libertà, e cerca principi che si elevino al di sopra di lei e la guidino. La persona umana cerca per sé qualcosa di sacro, agogna sottomettersi liberamente per ritrovare se stessa. Si ripete cosí la verità paradossale che l’uomo acquista e afferma se stesso se si sottomette a un principio supremo sovrumano e trova in un sacro sovrumano il contenuto della propria vita; al contrario l’uomo perde se stesso se si sbarazza del contenuto sovrumano supremo e non ritrova in sé che il suo piccolo mondo umano chiuso. L’affermazione dell’individualità umana presuppone l’universalismo; lo dimostrano tutti i risultati della cultura e della storia moderna nella scienza, nella filosofia, nell’arte, nella morale, nello stato, nella vita economica, nella tecnica, lo dimostrano e lo provano con l’esperienza. È provato e dimostrato che l’ateismo umanistico porta all’autonegazione dell’umanesimo, alla degenerazione dell’umanesimo in antiumanesimo, al passaggio della libertà in costrizione. Cosí finisce la storia moderna e incomincia una storia diversa che io per analogia ho chiamato nuovo medioevo. In essa l’uomo deve di nuovo legarsi per raccogliersi, deve sottomettersi al supremo per non perdersi definitivamente. Bisogna ritornare in forma nuova ad alcuni elementi dell’ascetismo medioevale perché la persona umana ritrovi sé stessa, perché possa continuare nel futuro il lavoro cristiano sull’uomo, che costituisce un momento essenziale nel destino dell’umanità nella storia universale. Quello che il medioevo ha sperimentato trascendentemente deve essere sperimentato immanentemente. Uno sforzo di autolimitazione libera dell’uomo, di libera disciplina, di subordinazione volontaria al sacro sovrumano, potrà stornare l’esaurimento definitivo delle energie creative dell’uomo, porterà ad accumulare nuove energie creative e renderà possibile un nuovo Rinascimento cristiano, il quale per la parte eletta dell’umanità sopravverrà soltanto sulla base di un rafforzamento della persona umana. Il medioevo si basava sulla rinuncia interiore al mondo, e qui stava la sua essenza spirituale e il suo pathos supremo. Questa rinuncia creò la grande cultura medioevale. L’idea medioevale del Regno di Dio è un’idea di rinuncia al mondo, che porta al dominio sul mondo: è il paradosso fondamentale del medioevo messo in luce da storici della cultura medioevale come Eincken, la negazione del mondo da parte della chiesa portò all’idea dell’impero mondiale della chiesa. Ho già detto che questo non poteva riuscire: la coscienza medioevale non aveva veramente scoperta la libertà dello spirito e il dramma della storia moderna fu inevitabile. Ma l’esperienza dell’uomo moderno che si era proposto di imperare sul mondo lo rese schiavo del mondo. In questa schiavitú egli perse i suoi lineamenti umani e perciò adesso deve passare per una nuova rinuncia per vincere il mondo in sé e intorno a sé, per diventare signore e non piú servo. Tale è la situazione spirituale dell’uomo alla fine della storia moderna, alla soglia di un’era nuova.
Secondo me quest’ultima apre davanti all’uomo due strade. Alla vetta della storia avviene il taglio in due definitivo. L’uomo è libero di imboccare la strada dell’autosubordinazione di sé ai principi divini superiori e cosí rafforzare la sua personalità, ed è anche libero di sottomettersi ed asservirsi ad altri principi, non-divini e non-umani ma superumanistici malvagi. Ecco perché la storia universale è un intimo dispiegarsi dell’Apocalisse. La personalità umana giunta alla vetta della storia non può sopportare d’essere schiava della società e della natura e allo stesso tempo avverte sempre piú questa sua schiavitú alla società e alla natura. La persona umana viene asservita alla natura e all’ambiente sociale; con la macchina, con lo sviluppo delle forze produttive materiali l’uomo cercò di dominare gli elementi della natura e invece diventa schiavo della macchina da lui creata e dall’ambiente sociale materiale da lui creato. Tutto questo è già manifesto nel capitalismo e sarà manifesto anche nel socialismo ed è il tragico risultato di tutta la storia recente, il suo tragico insuccesso. Ma questo insuccesso non significa che la nuova storia sia senza senso, non invoca una valutazione definitivamente tragica del destino della storia; se si intende (e la si deve intendere) la storia universale come una tragedia, l’insuccesso ha un significato intimo. Se si ritiene che la soluzione della storia non può essere immanente alla storia stessa ma soltanto oltre i suoi confini tutti gli insuccessi della storia acquistano un senso interiore profondo e s’incomincia a capire che il senso della storia non è quello di risolvere i compiti che le assegna l’uno o l’altro dei suoi periodi. Proprio il fatto che la storia può realizzare i suoi disegni soltanto oltre i suoi confini rivela il senso interiore profondissimo della storia; infatti se in un momento qualunque della storia fossero realizzati i compiti della storia e l’uomo pervenisse a una soddisfazione definitiva, questo successo rivelerebbe in sostanza l’insensatezza della storia. Perché, per quanto possa sembrare paradossale, il genuino della storia non è quello di risolversi in un certo istante, in un certo periodo di tempo, ma quello di permettere a tutte le energie spirituali e a tutte le contraddizioni della storia di manifestarsi, perché ci sia il moto dall’interno della tragedia della storia e soltanto alla fine si riveli la verità che tutto risolve. Solo allora la sua risoluzione finale genera una luce retrospettiva su tutti i periodi storici precedenti, mentre una risoluzione del compito della storia in uno dei suoi istanti non significherebbe la risoluzione del suo compito per tutti i suoi periodi, per tutta la sua durata. Qui è importante per me far notare che la mia concezione del profondo insuccesso della storia non significa affatto che io affermi l’assurdità della storia, perché per me proprio questo insuccesso è in certo senso un santo insuccesso; esso indica che la vocazione suprema dell’uomo e dell’umanità è meta-storica, che solo nella meta-storia è possibile una risoluzione di tutte le contraddizioni fondamentali della storia.
N. A. Berdiaev, Il senso della storia:
saggio di una filosofia del destino umano, trad. di P. Modesto, Jaka Book,
Milano, 1971, pagg. 145-147