Per Bergson la memoria del passato è piú
importante dell’intuizione del presente e quindi “percepire finisce per non
essere altro che un’occasione per ricordare”.
H. Bergson, Matière
et mémoire. Essai sur la relation du corps à l’esprit, Alcan, Paris, 1896;
trad. it. Materia e memoria.
Saggio sulla relazione del corpo allo spirito, in H. Bergson, Opere, 1889-1896, di F. Sossi, a
cura di P. A. Rovatti, A. Mondadori, Milano, 1986, pag. 189 -397)
È giunto il momento di reintegrare la memoria nella percezione, di correggere in tal modo l’aspetto eccessivo che le nostre conclusioni potevano implicare, e di determinare con maggior precisione il punto di contatto tra la coscienza e le cose, tra il corpo e lo spirito.
Per prima cosa diciamo che se si pone la memoria, e cioè una sopravvivenza delle immagini passate, quest’ultime si mischieranno costantemente alla nostra percezione del presente e potranno anche sostituirvisi. Esse infatti si conservano solo per rendersi utili: a ogni istante completano l’esperienza presente arricchendola con quella acquisita; e siccome quest’ultima cresce incessantemente, finirà per ricoprire e sommergere l’altra. È incontestabile che lo sfondo di intuizione reale, e per cosí dire istantanea, sul quale si schiude la nostra percezione del mondo esterno è ben poca cosa rispetto a tutto ciò che la nostra memoria aggiunge. Proprio perché il ricordo di intuizioni analoghe, anteriori è piú importante dell’intuizione stessa, poiché nella nostra memoria è legato a tutta la serie degli avvenimenti che hanno fatto seguito e può quindi chiarire meglio la nostra decisione, esso prende il posto dell’intuizione reale, il cui ruolo, allora – come dimostreremo in seguito – è solo quello di richiamare il ricordo, di fornigli un corpo, di renderlo attivo e, con ciò, attuale. Avevamo quindi ragione di dire che la coincidenza della percezione con l’oggetto percepito esiste di diritto piú che di fatto. Bisogna tener conto del fatto che percepire finisce per non essere altro che un’occasione per ricordare, del fatto che, in pratica, commisuriamo il grado di realtà con il grado d’utilità, e, infine, del fatto che abbiamo tutto l’interesse a erigere a semplici segni del reale queste intuizioni immediate le quali coincidono in ultima istanza, con la realtà stessa.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. I, pag. 786