Dopo aver
definito il presente non “ciò che è”, ma “ciò che si fa”, Bergson arriva a
considerare il passato come non “ciò che ha cessato di essere”, ma “ ciò che ha
cessato di essere utile”. Conclude il filosofo francese: “Ogni percezione è già
memoria”.
H. Bergson, Matière
et mémoire. Essai sur la relation du corps à l’esprit, Alcan, Paris, 1896;
trad. it. Materia e memoria.
Saggio sulla relazione del corpo allo spirito, in H. Bergson, Opere, 1889-1896, di F. Sossi, a cura di
P. A. Rovatti, A. Mondadori, Milano 1986, pagg. 257-258 396-397)
Ma in quale modo il passato, che per ipotesi ha cessato di essere, potrebbe conservarsi da solo? Non si tratta forse di una vera e propria contraddizione? – Rispondiamo dicendo che il vero problema è precisamente quello di sapere se il passato ha cessato d’esistere, o se invece ha semplicemente cessato di essere utile. In modo arbitrario voi definite il presente ciò che è, mentre esso è semplicemente ciò che si fà. L’è riguarda meno di ogni altra cosa il momento presente, se con ciò si intende il limite indivisibile che separa il passato dal futuro. Quando pensiamo il presente come ciò che deve essere, esso non è ancora; e quando lo pensiamo come esistente, è già passato. Se invece pensate il presente concreto e realmente vissuto dalla coscienza, si può dire che esso consiste, in gran parte, nell’immediato passato. Nella frazione di secondo in cui dura la piú corta percezione possibile di luce, hanno avuto luogo trilioni di vibrazioni la prima delle quali è separata dall’ultima da un enorme intervallo. La vostra percezione, per quanto istantanea, consiste dunque in un’incalcolabile moltitudine di elementi ricordati e, a dire il vero, ogni percezione è già memoria. Noi non percepiamo, praticamente, che il passato dal momento che il puro presente è l’inafferrabile progresso del passato che fa presa sul futuro.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. I, pagg. 788-789