L’empirismo di Berkeley assume
una forma cosí radicale da portarlo a negare l’esistenza autonoma degli oggetti
del mondo esterno. Nonostante ciò, il soggetto che percepisce e la presenza
delle idee nella sua mente sono garanzia della possibilità di conoscere la
realtà, ma solo nella forma in cui essa è percepita dalla mente del soggetto: Esse est percipi (“Esistere è
essere percepito”). L’essere ha perso ogni dimensione materiale: è ridotto a idea.
Questo è l’immaterialismo di Berkeley.
G. Berkeley, Trattato sui
princípi della conoscenza umana, Parte prima
Che né i nostri pensieri, né le
passioni, né le idee formate dall’immaginazione, esistano fuori della mente, è
quanto ognuno ammetterà. E sembra non meno evidente che le varie sensazioni o
idee impresse sui sensi, comunque unite o combinate insieme (cioè, qualsiasi
oggetto esse compongano) non possono esistere altrimenti che in una mente che
le percepisce. Penso che una intuitiva conoscenza di ciò possa esser ottenuta
da chiunque badi a quel che s’intende col termine esistere quando è
applicato alle cose sensibili. La tavola sulla quale scrivo, io dico, esiste,
cioè io la vedo e la tocco; e se io fossi fuori del mio studio, direi che essa
esisteva, intendendo cosí che se io fossi nel mio studio potrei percepirla, o
che qualche altro spirito presentemente la percepisce. C’era un odore, cioè,
era sentito; c’era un suono, vale a dire, era udito; e un colore o una figura,
ed erano percepiti con la vista e con il tatto. Ecco tutto quanto io posso
intendere con queste e simili espressioni. Perché, quanto a ciò che si dice
dell’esistenza assoluta di cose non pensanti, senz’alcuna relazione al loro
essere percepite, codesto sembra perfettamente inintelligibile. Il loro esse
[“essere”] è percipi [“essere percepite”], né è possibile che abbiano
un’esistenza fuori delle menti o cose pensanti che le percepiscono.
È infatti un’opinione stranamente
prevalente in mezzo agli uomini, che le case, le montagne, i fiumi, e in una
parola tutti gli oggetti sensibili abbiano un’esistenza naturale o reale,
distinta dal loro essere percepiti dall’intelletto. Ma, per grande che sia la
sicurezza e l’acquiescenza con cui questo principio possa essere ricevuto nel
mondo, tuttavia chiunque troverà nel suo cuore la forza di revocarlo in dubbio
può, se non m’inganno, percepire che esso involge una contraddizione manifesta.
Giacché, che cosa sono gli oggetti ora menzionati se non le cose che noi
percepiamo con i sensi, e che cosa percepiamo noi oltre le nostre proprie idee
o sensazioni? E non è chiaramente contraddittorio che una di queste o una
combinazione di esse esista non percepita?
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XIII, pagg. 716-717)