Secondo il
filosofo francese la stabilità (egli volutamente non usa il termine
“necessità”) decresce man mano che si osservano gli stadi piú elevati
dell’essere, nei quali compare l’azione destinata all’autorealizzazione.
E. Boutroux, La contingence des lois de la
nature [1874], trad. it. a c. di A. Testa, Signorelli, Milano, 1960, pagg.
145-157
Certo la stabilità non è semplicemente una categoria astratta, uno stampo dove l’intelletto getti le cose; essa regna nel mondo dato. I fatti sono dei casi particolari di leggi generali, i1 mondo è intelligibile; e cosí non sono le possibilità ideali, ma è la realtà stessa, ciò di cui la scienza ci presenta la tavola sistematica. Ma la stabilità non regna interamente. Anche in seno al suo dominio appare, come elemento primitivo, originale, l’azione di un principio di cambiamento assoluto, di creazione propriamente detta, ed è impossibile stabilire dei confini tra i due domini. Si può dire che una parte degli esseri o che un aspetto delle cose sono rette da leggi mentre gli altri esseri o l’altro aspetto delle cose sarebbero sottratti alla necessità. Ciò che è vero è che, nei mondi inferiori, la legge occupa un posto cosí grande che quasi si sostituisce all’essere; nei mondi superiori, al contrario, l’essere fa quasi dimenticare la legge. Cosí ogni fatto dipende non solo dal principio di conservazione, ma anche, e innanzi tutto, da un principio di creazione.
L’essere non è dunque, in alcuno dei suoi gradi, conosciuto fino in fondo, quando le scienze positive hanno terminato la loro opera. Esso è conosciuto nella sua natura e nelle sue leggi permanenti. Resta però da conoscerlo nella sua sorgente creatrice.
[...] Ma, a mano a mano che si considerano esseri piú elevati, l’essenza appare sempre meno come primordiale; diventa sempre piú evidente che essa ha il suo principio nell’azione stessa dell’essere. L’uomo è l’autore del suo carattere e del suo destino.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. I, pagg. 737-738 e 741