Boutroux, Sul determinismo

Secondo il filosofo francese Emile Boutroux “si possono distinguere nell’universo piú mondi”, ma i gradi inferiori dell’essere danno a quelli superiori la materia, non la forma. “La quantità si percepisce solo come misura della qualità”.

 

E. Boutroux, La contingence des lois de la nature [La contingenza delle leggi di natura, 1874], trad. it. a c. di A. Testa, Signorelli, Milano, 1960, pagg. 140- 145

 

Si possono distinguere nell’universo piú mondi che formano come dei piani sovrapposti gli uni agli altri. Questi sono, al di sopra del mondo della pura necessità, della quantità senza qualità, che è identica al niente: il mondo delle cause, il mondo delle nozioni, il mondo matematico, il fisico, il mondo vivente, e, per finire, il mondo pensante.

Ciascuno di questi mondi sembra all’inizio dipendere strettamente dai mondi inferiori come con una fatalità esterna, e trarre da essi la sua esistenza e le sue leggi. Esisterebbe forse la materia senza l’identità generica e la causalità, i corpi senza la materia, gli esseri viventi senza gli agenti fisici, l'uomo senza la vita?

Tuttavia, se si sottopongono a un esame comparativo i concetti delle principali forme dell’essere, si vede che è impossibile connettere le forme superiori alle forme inferiori con un nesso di necessità.

Si ragiona a priori? Non si possono estrarre le forme superiori dalle forme inferiori per via d’analisi perché esse contengono degli elementi irriducibili a quelli delle forme inferiori. Le prime trovano nelle seconde soltanto la loro materia, e non la loro forma. Il nesso delle une in rapporto alle altre sembra come se fosse radicalmente sintetico.

Sarebbe tuttavia un nesso necessario, se fosse posto dallo spirito, al di fuori di ogni esperienza, in un giudizio sintetico causale a priori.

Ma le forme che supporrebbero una origine a priori non sono quelle che si applicano alle cose date o anche alla conoscenza delle cose; mentre le formule che veramente chiariscono la natura delle cose date derivano dalla stessa esperienza.

L’esistenza dei diversi gradi dell’essere non è dunque necessaria di diritto.

Il ragionamento a posteriori prova forse che lo sia di fatto?

Per il fatto che la scienza ha potuto prendere la forma deduttiva, non ne segue che le conclusioni ne siano obiettivamente necessarie. Il valore delle conclusioni è precisamente quello dei principi fondamentali; e, se questi ultimi sono contingenti la contingenza si trasmette necessariamente a tutte le proposizioni che il sillogismo fa nascere. Ora ogni scienza puramente deduttiva ha un carattere astratto e soggettivo. Le definizioni esatte non sono possibili che a questo prezzo. Sono delle sintesi artificiali di concetti, impoveriti in modo tale da divenire interamente intellegibili. Non si può dunque applicare alle cose stesse la determinazione inerente alle definizioni delle scienze deduttive.

[...] Cosí ogni mondo dato possiede, in rapporto ai mondi inferiori un certo grado di indipendenza. Può, in una certa misura, intervenire nel loro svolgimento, utilizzare le leggi che sono loro proprie, determinare in essi delle forme che non erano chiamate dalla loro essenza.

[...] E’ dunque inesatto dire che le leggi reggono i fenomeni. Esse non sono poste prima delle cose, esse le suppongono; non esprimono che ciò che derivano dalla loro natura precedentemente realizzata.

Ora la quantità si concepisce solo come misura della qualità, come subordinata alla qualità; e quest’ultima, indefinitamente perfettibile, e diversa da essa stessa per due gradi di perfezione vicini l’uno all’altro cosí come si vorrà, non trovando del resto nella quantità estensiva o ripetizione sterile d’una stessa cosa alcun elemento di perfezionamento, non può ammettere che come accidentale e relativa, come essenziale e assoluta, l’omogeneità e la permanenza richieste dalla categoria di quantità. La legge della conservazione dell’essere è dunque contingente.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. I, pagg. 734-736