Francis H.
Bradley (1846-1924), filosofo inglese, è stato sostenitore di un monismo
radicale fondato sulle idee, concepite come realtà oggettive e non riducibili
alla psicologia. In questa lettura egli afferma che le idee sono un fatto innegabile
ed hanno una realtà non inferiore alle sensazioni e alle emozioni. Inoltre il
loro esistere non deve essere confuso con il loro significato.
F. H. Bradley, The principles of Logic,
[I princípi della logica] London, 1883, pagg. 2-4; trad. it. Costanza
Arato, F. B., Garzanti, Milano 1951
Il giudizio, in senso stretto, non esiste dove non v’è conoscenza di verità e falsità; e, poiché la verità e la falsità dipendono dalla relazione delle nostre idee alla realtà, non puoi avere un giudizio propriamente detto senza idee. E forse fin qui è ovvio. Ma andando avanti non lo resta altrettanto. Noi non soltanto non siamo in grado di giudicare prima di far uso di idee, ma, rigorosamente parlando, non possiamo giudicare se non le usiamo come idee. Dobbiamo farci consapevoli che esse non sono delle realtà, che sono mere idee, segni di un’esistenza altra da sé. Le idee non sono idee finché non sono simboli, e, prima di fare uso di simboli, non possiamo giudicare.
Siamo avvezzi al detto: “Questo non è nulla di reale, non è che una mera idea”. Ma noi rispondiamo che un’idea, la quale si trovi nel mio capo e sia uno stato della mia mente, è un fatto innegabile quanto un qualsivoglia oggetto esterno. La risposta è per noi familiare quasi quanto il detto, e il mio rammarico è che in fin dei conti diventi troppo familiare. In ogni modo in Inghilterra siamo stati per troppo tempo in un atteggiamento psicologico. Ammettiamo per vero e come un dato di fatto che le idee siano fenomeni al pari delle sensazioni e delle emozioni; e, considerando questi fenomeni come fatti psichici, abbiamo tentato (non chiederò con quale successo) di distinguere fra idee e sensazioni. Anzi, intenti a questo, abbiamo bellamente dimenticato in che modo la logica faccia uso di idee. Non abbiamo visto che nel giudizio un fatto non è mai esattamente quello che significa, né può significare quello che è; e non abbiamo imparato che, ovunque abbiamo verità o falsità, utilizziamo il significato e non l’esistenza. Oggetto della nostra asserzione non è mai il fatto qual è nelle nostre menti, ma qualcosa d’altro che quel medesimo fatto significa. E se un’idea fosse trattata come una realtà psichica e considerata per se stessa come un fenomeno attuale, non rappresenterebbe in tal caso né la verità, né la falsità. Allorché ne facciamo uso nel giudizio, deve venire attribuita a qualcosa di altro da sé. Se non è l’idea di una certa esistenza, allora, nonostante la sua accentuata attualità, il suo contenuto è soltanto “una mera idea”. È un qualcosa che, visto in relazione alla realtà cui alludiamo, è assolutamente nulla.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. I, pag. 445