In questa
lettura Brentano afferma di non proporre teorie psicologistiche e respinge le
accuse che a questo proposito gli vengono rivolte. Egli conclude ricordando che
però la conoscenza è un giudizio e che come tale essa appartiene
inevitabilmente al campo psichico.
F. Brentano, La classificazione delle
attività psichiche
La mia teoria della conoscenza è stata accusata di psicologismo, una parola venuta in uso recentemente, a udir la quale qualche pio filosofo, come qualche cattolico ortodosso al nome “modernismo”, si fa il segno della croce, come se questo nome contenesse Satana in persona.
Per discolparmi di una cosí grave accusa, devo domandare che cosa poi s’intende propriamente con questo, perché a ogni momento si ha sempre pronto quel nome, a mo’ di spauracchio, anche dove si tratta di cose assai diverse. Quando per avere una spiegazione pregai personalmente Husserl e alcuni che seguono fedelmente le sue vedute, mi si disse che con ciò s’intende una teoria la quale combatte la validità universale della conoscenza, una teoria secondo la quale altri esseri, che non siano uomini, possono avere conoscenze che sono addirittura opposte alle nostre.
Intesa in questo senso, non solo non sono psicologista, ma sempre ho rigettato e combattuto, nella maniera piú decisa, un tale assurdo soggettivismo. Però sento rispondere che tuttavia sono psicologista e abolisco l’unità della verità per tutti, poiché questa consiste soltanto in quanto al vero giudizio corrisponde qualcosa fuori dello spirito, qualcosa che è una e la stessa per tutti coloro che giudicano. Ma nei giudizi negativi e in quelli che indicano qualcosa come possibile, impossibile, passata o futura, questa qual cosa non può essere un reale, e con ciò, non ammettendo io come qualcosa che sia insieme a reali anche certi non reali, come non essere, possibilità, impossibilità, esser passato, esser nel futuro e simili, abolirei qui secondo loro l’unità della verità per tutti.
Rispondo che se anche da quella negazione seguisse l’abolizione della validità universale della conoscenza, tuttavia non va bene di screditarmi come psicologista, giacché io stesso non traggo queste conseguenze. Si potrebbe forse dire soltanto che io pongo proposizioni che, nelle loro conseguenze, devono condurre allo psicologismo. Ma neanche questo è giusto, infatti anche senza premettere tali non reali, perché non dovrebbe essere evidente che due giudizi, dei quali uno afferma in un certo modo ciò che l’altro nega nello stesso modo, non possono essere giusti, tanto se vengono dati da due diverse persone, quanto se li dà una stessa persona? Perché nessuno dirà, spero, che se anche esiste quel non reale, la percezione di questo e il suo confronto col nostro giudizio precedono per farci riconoscere, nell’armonia dell’una con l’altra, e nella loro disarmonia, la verità o falsità dei nostri giudizi.
Sono sempre invece percezioni di reali, immediatamente evidenti, e negazioni di composizioni, in cui esse sono entrate nelle nostre rappresentazioni, che ci offrono l’ultimo sostegno nella critica dei propri e degli altrui pensieri.
Tanto, in breve, per difendermi da false e odiose dicerie, le quali non credo che possano provenire dalla bocca di antichi discepoli. Ma, se cosí fosse, devono apparire come un segno di estrema debolezza di memoria.
Però vi è anche una terza ipotesi. Si conosce ciò che avviene, e che, negli uomini, inavvertitamente, i concetti si spostano, e che essi stessi poi, in seguito alle equivocazioni che ne sono scaturite, non sanno bene che cosa dicono. Cosí qualcuno, che sarà cascato in tale debolezza umana, mi chiama psicologista. E infatti non solo il soggettivista, ma anche colui che crede che la psicologia ha da dire qualcosa nella teoria della conoscenza e nella logica viene confuso nel psicologismo. Ma per quanto io condanni il soggettivismo, tanto poco mi lascio deviare da ciò alla sconoscenza di quella verità, secondo me cosí decisamente stabilita, che mi sembrerebbe paradossale, anzi assurdo, se qualcuno negasse che la conoscenza è un giudizio, o negasse che il giudizio appartiene al campo psichico. E si può dire perciò che se anche altri esseri fuori di noi partecipano alla conoscenza, essi dovranno partecipare a quella che cade anche nel campo dei fenomeni psichici umani, e soltanto qui sono accessibili direttamente all’indagine nostra.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1976, vol. XXV, pagg.
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