Gli amori
si distinguono in naturali ed eroici. Questi ultimi sono sempre amori per la
divinità, tendono alla divina bellezza. Essa permea di sé tutto, anche i corpi,
i quali vengono a possedere una bellezza spirituale. Per questo può avere
valore anche l’amore per un corpo.
G. Bruno, De
gli eroici furori, Dialogo Terzo
Tutti gli
amori ( se sono eroici e non son puri animali, che chiamano naturali e cattivi
alla generazione, come instrumenti de la natura in certo modo) hanno per oggetto
la divinità, tendeno alla divina bellezza, la quale prima si comunica all’anime
e risplende in quelle; e da quelle poi o, per dir meglio, per quelle poi si
comunica alli corpi; onde è che l’affetto ben formato ama gli corpi o la
corporal bellezza, per quel che è indice della bellezza del spirito. Anzi
quello che m’innamora del corpo è una certa spiritualità che veggiamo in esso,
la qual si chiama bellezza; la qual non consiste nelle dimensioni maggiori o
minori, non nelli determinati colori o forme, ma in certa armonia e consonanza
de membri e colori. Questa mostra certa sensibile affinità col spirito a gli
sensi piú acuti e penetrativi; onde sèguita che tali piú facilmente ed
intensamente s’innamorano; ed anco piú facilmente si disamorano, e piú intensamente
si sdegnano, con quella facilità ed intensione, che potrebbe essere nel
cangiamento dello spirito brutto, che in qualche gesto ed espressa intenzione
si faccia aperto; di sorte che tal bruttezza trascorre da l’anima al corpo, a
farlo non apparir oltre come gli apparía bello. La beltà dunque del corpo ha
forza d’accendere, ma non già di legare e far che l’amante non possa fuggire,
se la grazia, che si richiede nel spirito, non soccorre, come la onestà, la
gratitudine, la cortesia, l’accortezza. Però dissi bello quel fuoco che
m’accese, perché ancor fu nobile il laccio che m’annodava.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VI, pag. 1379