Bruno si schierò decisamente con
coloro che ritenevano che la concezione astronomica di Copernico non fosse
affatto una ipotesi motivata solo dalla “comodità de le supputazioni” (cioè
dalla maggiore semplicità dei calcoli), ma esprimesse la verità dei fatti.
L'“Epistola superliminare” è la prefazione di Osiander. Smitho e Teofilo,
protagonisti del dialogo di Bruno La cena delle Ceneri, rappresentano rispettivamente il
gentiluomo inglese interessato alle dispute filosofiche e il sostenitore della
filosofia bruniana.
G. Bruno, La cena delle Ceneri,
Dialogo Terzo
Smitho: Che soggionse il dottor
Nundinio?
Teofilo: Io dunque - disse in latino -
voglio interpretare quello che noi dicevamo; che è da credere, il Copernico non
esser stato d'opinione, che la Terra si movesse, perché questa è una cosa
inconveniente ed impossibile; ma che lui abbia attribuito il moto a quella, piú
tosto che al cielo ottavo, per la comodità de le supputazioni. - Il Nolano
disse, che, se Copernico per questa causa sola disse la Terra moversi, e non
ancora per quell'altra, lui ne intese poco e non assai. Ma è certo, che il
Copernico la intese come la disse, e con tutto suo sforzo la provò.
Smitho: Che vuol dir, che costoro sí
vanamente buttorno quella sentenza su l'opinione di Copernico, se non la
possono raccogliere da qualche sua proposizione?
Teofilo: Sappi che questo dire nacque
dal dottor Torquato; il quale di tutto il Copernico (benché posso credere che
l'avesse tutto voltato) ne avea retenuto il nome de l'autore, del libro, del
stampatore, del loco ove fu impresso, de l'anno, il numero de' quinterni e de
le carte; e per non essere ignorante in gramatica, avea intesa certa Epistola
superliminare attaccata non so da chi asino ignorante e presuntuoso; il quale
(come volesse iscusando faurir l'autore, o pur a fine che anco in questo libro
gli altri asini, trovando ancora le sue lattuche e frutticelli, avessero
occasione di non partirsene affatto deggiuni), in questo modo lo avvertisce,
avanti che cominciano a leggere il libro e considerar le sue sentenze.
“Non
dubito, che alcuni eruditi” (ben disse alcuni, de' quali lui può esser uno),
“essendo già divolgata la fama de le nove supposizioni di questa opera, che
vuole la Terra esser mobile ed il Sole starsi saldo e fisso in mezzo
dell'Universo, non si sentano fortemente offesi, stimando che questo sia un
principio per ponere in confusione l'arte liberali già tanto bene e in tanto
tempo poste in ordine. Ma, se costoro vogliono meglio considerar la cosa,
trovaranno, che questo autore non è degno di riprensione; perché è proprio agli
astronomi raccôrre diligente e artificiosamente l'istoria di moti celesti; non
possendo poi per raggione alcuna trovar le vere cause di quelli, gli è lecito
di fengersene e formarsene a sua posta per principii di geometria, mediante i
quali tanto per il passato, quanto per avenire si possano calculare; onde non
solamente non è necessario, che le supposizioni siino vere, ma né anco
verisimili”. [...] - E conclude al fine: “Lasciamoci dunque prendere il tesoro
di queste supposizioni, solamente per la facilità mirabile ed artificiosa del
computo; perché, se alcuno queste cose fente prenderà per vere, uscirrà piú
stolto da questa disciplina, che non v'è entrato”.
Or vedete,
che bel portinaio! Considerate quanto bene v'apra la porta per farvi entrar
alla partecipazion di quella onoratissima cognizione, senza la quale il saper
computare e misurare e geometrare e perspettivare non è altro che un passatempo
da pazzi ingeniosi. Considerate come fidelmente serve al padron di casa.
Al
Copernico non ha bastato dire solamente, che la Terra si move; ma ancora
protesta e conferma quello scrivendo al Papa, e dicendo che le opinioni di
filosofi son molto lontane da quelle del volgo, indegne d'esser seguitate,
degnissime d'esser fugite, come contrarie al vero e dirittura. Ed altri molti
espressi indizii porge de la sua sentenza; non ostante ch'alfine par, ch'in
certo modo vuole a comun giudizio tanto di quelli che intendono questa filosofia,
quanto degli altri, che son puri matematici, che, se per gli apparenti
inconvenienti non piacesse tal supposizione, conviene ch'anco a lui sii
concessa libertà di ponere il moto de la Terra, per far demostrazioni piú ferme
di quelle, ch'han fatte gli antichi, i quali furno liberi nel fengere tante
sorte e modelli di circoli, per dimostrar gli fenomeni de gli astri. Da le
quale paroli non si può raccôrre, che lui dubiti di quello che sí
constantemente ha confessato, e provarà nel primo libro, sufficientemente
respondendo ad alcuni argomenti di quei che stimano il contrario; dove non solo
fa ufficio di matematico che suppone, ma anco de fisico che dimostra il moto de
la Terra.
(G. Bruno, La cena delle Ceneri,
Mondadori, Milano, 1995, pagg. 52-54)