Il divino
(l’Uno) è immanente a tutte le cose: l’assoluta indifferenziazione degli enti
fa sí che in tutti e in ciascuno di essi sia presente una scintilla divina.
Nell’uomo, che pure rispetto all’infinito non è diverso da una formica, questa
scintilla sembra albergare nell’intelligenza. Grazie
all’intelletto l’uomo può sollevarsi oltre i dati sensibili e cercare di
cogliere l’Uno. Questo sforzo di conoscenza è chiamato da Bruno eroico furore. Luigi Tansillo
(1510-1568), è un poeta molto caro a Bruno che spesso ne cita o imita i versi.
G.
Bruno, De gli eroici furori, Dialogo Terzo ( pagg. 48-49)
Tansillo: [...] Or venemo al proposito.
Questi furori de quali noi raggioniamo, [...] non son oblío, ma una memoria;
non son negligenze di sé stesso, ma amori e brame del bello e buono con cui si
procure farsi perfetto con transformarsi ed assomigliarsi a quello. Non è un
raptamento sotto le leggi d’un fato indegno, con gli lacci de ferine affezioni;
ma un impeto razionale che siegue l’apprension intellettuale del buono e bello
che conosce, a cui vorrebbe conformandosi parimente piacere; di sorte che della
nobiltà e luce di quello viene ad accendersi ed investirsi de qualitade e
condizione per cui appaia illustre e degno. Doviene un dio dal contatto
intellettuale di quel nume oggetto; e d’altro non ha pensiero che de cose
divine, e mostrasi insensibile ed impassibile in quelle cose che comunemente
massime senteno, e da le quali piú vegnon altri tormentati; niente teme, e per
amor della divinitade spreggia gli altri piaceri, e non fa pensiero alcuno de
la vita. Non è furor d’atra bile che fuor di conseglio, raggione ed atti di
prudenza lo faccia vagare guidato dal caso o rapito dalla disordinata tempesta;
come quei, ch’avendo prevaricato da certa legge de la divina Adrastia vegnono
condannati sotto la carnificina de le Furie, acciò sieno essagitati da una
dissonanza tanto corporale per sedizioni, ruine e morbi, quanto spirituale per
la iattura dell’armonia delle potenze cognoscitive ed appetitive. Ma è un calor
acceso dal sole intelligenziale ne l’anima e impeto divino che gl’impronta
l’ali; onde piú e piú avvicinandosi al sole intelligenziale, rigettando la
ruggine de le umane cure, dovien un oro probato e puro, ha sentimento della
divina ed interna armonia, concorda gli suoi pensieri e gesti con la simmetria
della legge insita in tutte le cose. Non come inebriato da le tazze di Circe va
cespicando ed urtando or in questo, or in quell’altro fosso, or a questo, or a
quell’altro scoglio; o come un Proteo vago or in questa, or in quell’altra
faccia cangiandosi, giamai ritrova loco, modo, né materia di fermarsi e
stabilirsi. Ma senza distemprar l’armonia vince e supera gli orrendi mostri; e
per tanto che vegna a dechinare, facilmente ritorna al sesto con quelli intimi
istinti, che come nove muse saltano e cantano circa il splendor dell’universale
Apolline; e sotto l’imagini sensibili e cose materiali va comprendendo divini
ordini e consegli.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano,
1964, vol. VI, pagg. 1377-1378)