La Bibbia e
Aristotele sono i due punti di riferimento per quanti si oppongono a ogni
rinnovamento della filosofia e della scienza. Ma i testi biblici non sono testi
di filosofia naturale: essi contengono esclusivamente un insegnamento morale.
Inoltre il “divino legislatore” ha ispirato i libri sacri tenendo conto del
livello culturale della gente comune, non dei dòtti. Quanti, poi, difendono
l'aristotelismo si comportano come coloro che non si accorgono che il loro
tempo è passato. Continuano a litigare fra loro come i guelfi e i ghibellini,
avendo smarrito i motivi reali della disputa. Smitho e Teofilo, protagonisti
del dialogo di Bruno La cena delle Ceneri, rappresentano rispettivamente
il gentiluomo inglese interessato alle dispute filosofiche e il sostenitore
della filosofia bruniana.
G. Bruno, La cena delle Ceneri, Dialogo Quarto e Dialogo Primo
a) La funzione morale della Bibbia
Smitho: Perché la
divina Scrittura (il senso della quale ne deve essere molto raccomandato,
come cosa che procede da intelligenze superiori che non errano) in molti luoghi
accenna e suppone il contrario.
Teofilo: Or, quanto
a questo, credetemi che, se gli Dèi si fussero degnati d'insegnarci la teorica
delle cose della natura, come ne han fatto favore di proporci la prattica di
cose morali, io piú tosto mi accostarei alla fede de le loro revelazioni, che
muovermi punto della certezza de mie raggioni e proprii sentimenti. Ma, come
chiarissimamente ognuno può vedere, nelli divini libri in servizio del nostro
intelletto non si trattano le demostrazioni e speculazioni circa le cose
naturali, come se fusse filosofia; ma, in grazia de la nostra mente ed affetto,
per le leggi si ordina la prattica circa le azione morali. Avendo dunque il
divino legislatore questo scopo avanti gli occhii, nel resto non si cura di
parlar secondo quella verità, per la quale non profittarebbono i volgari per
ritrarse dal male e appigliarse al bene; ma di questo il pensiero lascia a gli
uomini contemplativi, e parla al volgo di maniera che, secondo il suo modo de
intendere e di parlare, venghi a capire quel ch'è principale.
b) I peripatetici
Come di dui ciechi mendichi a la porta de l'arcivescovato di Napoli
l'uno se diceva guelfo e l'altro ghibellino; e con questo si cominciorno sí
crudamente a toccar l'un l'altro con que' bastoni ch'aveano, che, si non
fussero stati divisi, non so come sarebbe passato il negozio. In questo se gli
accosta un uom da bene, e li disse: - Venite qua, tu e tu, orbo mascalzone: che
cosa è guelfo? che cosa è ghibellino? che vuol dir esser guelfo ed esser
ghibellino? - In verità, l'uno non seppe punto che rispondere, né che dire.
L'altro si risolse dicendo: - Il signor Pietro Costanzo, che è mio padrone, ed
al quale io voglio molto bene, è un ghibellino. - Cossí a punto molti sono
peripatetici, che si adirano, se scaldano e s'imbraggiano [si sbracciano] per
Aristotele, voglion defendere la dottrina d'Aristotele, son inimici de que' che
non sono amici d'Aristotele, voglion vivere e morire per Aristotele; i quali
non intendono né anche quel che significano i titoli de' libri d'Aristotele.
(G. Bruno, La cena delle Ceneri, Mondadori, Milano, 1995, pagg.
75 e 26-27)