Provvidenza, che, a questo punto, già si compiaceva dello splendido e
ornatissimo allestimento del mondo sensibile, chiama Natura perché guardi
ammirata e goda di quelle cose alla cui esornazione aveva anelato con tanta
passione. "Ecco," dice, "il mondo, o Natura, che io ho fatto nascere dall’antico
semenzaio, dal primordiale disordine, dalla massa confusa. Ecco il mondo, sagace
ideazione dell’opera mia, splendida costruzione, manifestazione maestosa delle
cose, che io ho creato, che ho formato con cura assidua, cui, con accortezza, ho
dato estensione secondo l’idea eterna, seguendo il più da vicino possibile la
mia mente. Ecco il mondo, la cui vita è Noûs, la cui forma sono le idee, e la
materia gli elementi. Ecco: ora, con zelo, sono arrivata dalla mia opera a ciò
che tu desideravi. Non accogli con voti augurali la nascita del mondo? Non ti
dico quanto tumulto ha opposto la riottosità di Silva al mio maneggiarla, né
quanta cura usai verso la sua riluttante sregolatezza fino a che non si lasciò
piegare dalle mani che la modellavano. Non ti dico con che dura cote strofinai
via la ruggine dagli elementi primordiali e riportai a nuovo le cose rigenerate
secondo lo splendore che loro conviene. Non ti dico da quale condizione un sacro
abbraccio ha unitamente composto classi di realtà tra loro opposte, né da quale
stato la medietà che ne è venuta ha equilibrato potenze disparate. Non ti dico
come le forme si sono incontrate con la materia, come la vita si sia manifestata
sulla terra, nelle distese d’acqua, nell’aria, e nella volta del cielo.
(Bernardo Silvestre, Cosmografia. Commento a Marziano Capella, in Il divino e il megacosmo. Testi filosofici e scientifici della scuola di Chartres, a cura di E. Maccagnolo, Rusconi, Milano, 1980, p. 499-502)