1. In questo
saggio mi propongo di discutere tre argomenti:
quale sia il senso del
problema che ci siamo posti intorno al fondamento assoluto dei diritti
dell'uomo;
se un fondamento assoluto sia possibile;
se, posto che sia
possibile, sia anche desiderabile.
2. Il problema del fondamento di un diritto si prospetta diversamente secondo che si tratti di cercare il fondamento di un diritto che si ha o di un diritto che si vorrebbe avere. Nel primo caso andrò a cercare nell'ordinamento giuridico positivo, di cui faccio parte come titolare di diritti e doveri, se vi sia una norma valida che lo riconosca e quale sia; nel secondo caso andrò alla ricerca di buone ragioni per sostenerne la legittimità e per convincere quante più persone è possibile, e soprattutto coloro che detengono il potere diretto o indiretto di produrre norme valide in quell'ordinamento, a riconoscerlo. Non c'è dubbio che quando in un convegno di filosofi, e non di giuristi, come il nostro, ci poniamo il problema del fondamento dei diritti dell'uomo, intendiamo affrontare un problema del secondo tipo, ovvero non un problema di diritto positivo, ma di diritto razionale o critico (o se si vuole di diritto naturale, in un senso ristretto, che è per me anche l'unico accettabile, della parola). Partiamo dal presupposto che i diritti umani sono cose desiderabili, cioè fini meritevoli di essere perseguiti, e che, nonostante la loro desiderabilità, non sono ancora stati tutti, dappertutto, e in egual misura, riconosciuti, e siamo spinti dalla convinzione che il trovarne un fondamento, cioè addurre motivi per giustificare la scelta che abbiamo fatta e che vorremmo fosse f atta anche dagli altri, sia un mezzo adeguato ad ottenerne un più ampio riconoscimento.
3. Dallo scopo che la ricerca del fondamento si propone nasce l'illusione del fondamento assoluto, l'illusione cioè che, a furia di accumulare e vagliare ragioni ed argomenti, si finirà per trovare la ragione e l'argomento irresistibile cui nessuno potrà rifiutare di dare la propria adesione. Il fondamento assoluto è il fondamento irresistibile nel mondo delle nostre idee, allo stesso modo che il potere assoluto è il potere irresistibile (si pensi ad Hobbes) nel mondo delle nostre azioni. Di fronte al fondamento irresistibile si piega necessariamente la mente, così come di fronte al potere irresistibile si piega necessariamente la volontà. Il fondamento ultimo non è ulteriormente discutibile così come il potere ultimo deve essere ubbidito senza discutere. Colui che resiste al primo si mette fuori dalla comunità delle persone ragionevoli, così come colui che si ribella al secondo si mette fuori dalla comunità delle persone giuste o buone.
Questa illusione fu comune per secoli ai giusnaturalisti, i quali credettero di aver messo certi diritti (ma non erano sempre gli stessi) al riparo di ogni possibile confutazione derivandoli direttamente dalla natura dell'uomo. Ma come fondamento assoluto di diritti irresistibili la natura dell'uomo dimostrò di essere molto fragile. Non è il caso di ripetere le infinite critiche rivolte alla dottrina dei diritti naturali né di svelare ancora una volta la capziosità degli argomenti adoperati per dimostrarne il valore assoluto. Basterà ricordare che molti diritti, anche i più diversi fra loro, anche meno fondamentali fondamentali solo secondo l'opinione di chi li sosteneva furono fatti risalire alla generosa e compiacente natura dell'uomo. Per fare un esempio: arse per molto tempo fra i giusnaturalisti la disputa quale delle tre soluzioni possibili relative alla successione dei beni il ritorno alla comunità, la trasmissione familiare di padre in figlio, o la libera disposizione da parte del proprietario ~ fosse più naturale (quindi dovesse essere preferita in un sistema che accettava per giusto tutto ciò che era fondato sulla natura). Potevano disputare a lungo: tutte e tre le soluzioni, infatti, sono perfettamente conformi alla natura dell'uomo secondo che si consideri l'uomo come membro di una comunità, da cui in ultima istanza la sua vita dipende, come padre di famiglia, volto per istinto naturale alla continuazione della specie, o come persona libera e autonoma, che è la sola responsabile delle proprie azioni e dei propri beni.
Kant aveva ragionevolmente ridotti i diritti irresistibili (egli diceva " innati ") ad uno solo: la libertà. Ma che cosa è la libertà?
4. Questa illusione oggi non è più possibile; ogni ricerca del fondamento assoluto è, a sua volta, infondata. Contro questa illusione sollevo quattro difficoltà (e così passo al secondo argomento). La prima difficoltà deriva dalla considerazione che "diritti dell'uomo" è un'espressione molto vaga. Abbiamo mai provato a definirli? E se abbiamo provato, quale è stato il risultato? La maggior parte delle definizioni sono tautologiche: " Diritti dell'uomo sono quelli che spettano all'uomo in quanto uomo ". Oppure ci dicono qualche cosa sullo status desiderato o proposto di questi diritti, non sul loro contenuto: "Diritti dell'uomo sono quelli che appartengono, o dovrebbero appartenere, a tutti gli uomini, o di cui ogni uomo non può essere spogliato ". Infine, quando si aggiunge qualche riferimento al contenuto, non si può fare a meno di introdurre termini di valore: "Diritti dell'uomo sono quelli il cui riconoscimento è condizione necessaria per il perfezionamento della persona umana oppure per lo sviluppo della civiltà ecc. ecc.". E qui nasce una nuova difficoltà: i termini di valore sono interpretabili in modo diverso secondo l'ideologia assunta dall'interprete; infatti, in che cosa consista il perfezionamento della persona umana o lo sviluppo della civiltà, è oggetto di molti appassionanti ma insolubili contrasti. L'accordo si trova in genere, quando i disputanti, dopo molte concessioni reciproche, acconsentono nell'accettare una formula generica, che nasconde, non risolve, il contrasto: questa formula generica lascia la definizione altrettanto vaga, come le due definizioni precedenti. Però, i contrasti così accantonati rinascono quando si passa dal momento della enunciazione puramente verbale all'applicazione. Il fondamento di diritti, di cui si sa soltanto che sono condizioni per la attuazione di valori ultimi, è l'appello a questi valori ultimi. Ma i valori ultimi, a loro volta, non si giustificano, si assumono: ciò che è ultimo, proprio perché è ultimo, non ha alcun fondamento. I valori ultimi, inoltre, sono antinomici, non si possono realizzare tutti globalmente e contemporaneamente. Per attuarli occorrono concessioni da entrambe le parti: in quest'opera di conciliazione, che richiede reciproche rinunce, entrano in gioco le preferenze personali, le scelte politiche, gli orientamenti ideologici. Resta dunque il fatto che tutti e tre questi tipi di definizioni non consentono di elaborare una categoria dei diritti dell'uomo dai contorni netti. Ci si domanda allora come sia possibile porre il problema del fondamento, assoluto o non assoluto, di diritti di cui non è possibile dare una nozione precisa.
5. In secondo luogo, i diritti dell'uomo costituiscono una classe variabile come la storia di questi ultimi secoli mostra a sufficienza. L'elenco dei diritti dell'uomo si è modificato e va modificandosi col mutare delle condizioni storiche, cioè dei bisogni e degli interessi, delle classi al potere, dei mezzi disponibili per la loro attuazione, delle trasformazioni tecniche, ecc. Diritti che erano stati dichiarati assoluti alla fine del Settecento, come la proprietà "sacre et inviolable", sono stati sottoposti a radicali limitazioni nelle dichiarazioni contemporanee; diritti che le dichiarazioni del Settecento non menzionavano neppure, come i diritti sociali, sono ormai proclamati con grande ostentazione in tutte le dichiarazioni recenti. Non è difficile prevedere che in avvenire potranno emergere nuove pretese che ora non riusciamo neppure a intravedere, come il diritto a non portare le armi contro la propria volontà, o il diritto di rispettare la vita anche degli animali, e non solo degli uomini. Il che prova che non vi sono diritti per loro natura fondamentali. Ciò che sembra fondamentale in un'epoca storica e in una determinata civiltà, non è fondamentale in altre epoche e in altre culture.
Non si vede come si possa dare un fondamento assoluto di diritti storicamente relativi. Del resto non bisogna aver paura del relativismo. La constatata pluralità delle concezioni religiose e morali è un fatto storico, anch'esso soggetto a mutamento. Il relativismo che da questa pluralità deriva, è anch'esso relativo. E poi proprio questo pluralismo è l'argomento più forte a favore di alcuni diritti dell'uomo, più celebrati, come la libertà di religione e in genere la libertà di pensiero. Se non fossimo convinti della irriducibile pluralità delle concezioni ultime, e se fossimo convinti, al contrario, che asserzioni religiose, etiche e politiche sono dimostrabili come teoremi (ancora una volta era l'illusione dei giusnaturalisti, di un Hobbes, ad esempio, che chiamava "teoremi" le leggi naturali), i diritti alla libertà religiosa o alla libertà di pensiero politico perderebbero la loro ragione di essere, o per lo meno acquisterebbero un altro significato: sarebbero non il diritto di avere la propria religione personale o di esprimere il proprio pensiero politico, bensì il diritto di non essere distolti con la forza dal perseguire la ricerca dell'unica verità religiosa e dell'unico bene politico.
Si ponga mente alla profonda differenza che esiste tra il diritto alla libertà religiosa e il diritto alla libertà scientifica. Il diritto alla libertà religiosa consiste nel diritto a professare qualsiasi religione e anche a non professarne nessuna. Il diritto alla libertà scientifica consiste non nel diritto a professare qualsiasi verità scientifica o anche a non averne nessuna, ma essenzialmente nel diritto a non esser ostacolati nel perseguimento della ricerca scientifica.
6. Oltre che mal definibile (§ 4) e variabile (§ 5) la classe dei diritti dell'uomo è anche eterogenea. Tra i diritti compresi nella stessa dichiarazione vi sono pretese molto diverse tra loro e, quel che è peggio, anche incompatibili. Pertanto le ragioni che valgono per sostenere le une non valgono per sostenere le altre. In questo caso, non si dovrebbe parlare di fondamento, ma di fondamenti dei diritti dell'uomo, di diversi fondamenti secondo il diritto le cui buone ragioni si desidera difendere.
Anzitutto tra i diritti umani, come è stato più volte osservato, vi sono diritti con status molto diversi tra loro. Ve ne sono alcuni che valgono in ogni situazione e per tutti gli uomini indistintamente: sono quei diritti che si chiede non vengano limitati né per il verificarsi di casi eccezionali né con riguardo a questa o a quella categoria, anche ristretta, di appartenenti al genere umano, come, ad esempio, il diritto a non essere resi schiavi e a non essere torturati. Questi diritti sono privilegiati, perché non vengono posti in concorrenza con altri diritti pur essi fondamentali. Ma anche fra i cosiddetti diritti fondamentali, quelli che non vengono sospesi in qualche circostanza o negati per qualche categoria di persone, sono ben pochi: in altre parole, sono ben pochi i diritti ritenuti fondamentali che non vengano in concorrenza con altri diritti ritenuti pur essi fondamentali, e che non impongano pertanto, in certe situazioni e con riguardo a particolari categorie di soggetti, una scelta. Non si può affermare un nuovo diritto in favore di una categoria di persone senza sopprimere qualche vecchio diritto, di cui beneficiavano altre categorie di persone: il riconoscimento del diritto a non essere resi schiavi implica l'eliminazione del diritto di possedere gli schiavi; il riconoscimento del diritto a non essere torturati implica la soppressione del diritto di torturare. In questi casi la scelta sembra facile, ed è tanto evidente che ci meraviglieremmo se ci si chiedesse di giustificarla (consideriamo evidente in morale ciò che non ha bisogno di essere giustificato).
Ma nella maggior parte dei casi la scelta è dubbia e richiede di essere motivata. Ciò dipende dal fatto che tanto il diritto che si afferma quanto quello che si nega hanno le loro buone ragioni: in Italia, ad esempio, si chiede l'abolizione della censura preventiva degli spettacoli cinematografici; la scelta è semplice, se si mette su un piatto della bilancia la libertà dell'artista e sull'altro il diritto di certi organi amministrativi, di solito incompetenti e meschini, di soffocarla; ma pare più difficile se si contrappone al diritto di espressione del produttore del film il diritto del pubblico a non essere scandalizzato, o urtato, o eccitato. La difficoltà della scelta si risolve con l'introdurre dei limiti all'estensione di uno dei due diritti, in modo che sia in parte salvaguardato anche l'altro: riguardo agli spettacoli, per continuare l'esempio, la nostra costituzione prevede il limite del buon costume.
Sembra dunque si debba concludere su questo punto che diritti aventi efficacia così diversa non possono avere lo stesso fondamento e soprattutto che i diritti del secondo tipo, fondamentali, sì, ma assoggettabili a restrizioni, non possono avere un fondamento assoluto, che non permetterebbe di dare una valida giustificazione alla restrizione.
7. Dal caso or ora esposto, in cui si rileva un contrasto tra il diritto fondamentale di una categoria di soggetti e il diritto altrettanto fondamentale di un'altra categoria di soggetti, bisogna distinguere un caso che mette a repentaglio ancor più gravemente la ricerca del fondamento assoluto: quello in cui si rileva un'antinomia fra i diritti invocati dagli stessi soggetti. Tutte le dichiarazioni recenti dei diritti dell'uomo comprendono, oltre ai tradizionali diritti individuali che consistono in libertà, i cosiddetti diritti sociali che consistono in poteri. Le prime richiedono da parte degli altri (ivi compresi gli organi pubblici) obblighi puramente negativi, di astenersi da determinati comportamenti; i secondi possono essere realizzati solo se vengono imposti ad altri (ivi compresi gli organi pubblici) un certo numero di obblighi positivi. Sono antinomici nel senso che il loro sviluppo non può procedere parallelamente: l'attuazione integrale degli uni impedisce l'attuazione integrale degli altri. Più aumentano i poteri dei singoli, più diminuiscono, degli stessi singoli, le libertà. Si tratta di due situazioni giuridiche così diverse che gli argomenti fatti valere per sostenere la prima non valgono per sostenere la seconda. I due principali argomenti per introdurre alcune libertà tra i diritti fondamentali sono: a) la irriducibilità delle credenze ultime; b) la credenza che l'individuo quanto più è libero tanto più possa progredire moralmente e possa promuovere anche il progresso materiale della società. Orbene di questi due argomenti il primo è, per giustificare la richiesta di nuovi poteri, irrilevante, il secondo si è rivelato storicamente falso.
Orbene, due diritti fondamentali ma antinomici non possono avere, gli uni e gli altri, un fondamento assoluto, un fondamento cioè che, renda un diritto e il suo opposto, entrambi, inconfutabili e irresistibili. Anzi è bene ricordare che storicamente l'illusione del fondamento assoluto di alcuni diritti stabiliti è stata di ostacolo all'introduzione di nuovi diritti incompatibili con quelli. Si pensi alle remore poste al progresso della legislazione sociale dalla teoria giusnaturalistica del fondamento assoluto della proprietà: l'opposizione quasi secolare contro l'introduzione dei diritti sociali è stata fatta in nome del fondamento assoluto dei diritti di libertà. Il fondamento assoluto non è soltanto un'illusione; qualche volta è anche un pretesto per difendere posizioni conservatrici.
8. Sin qui ho esposto alcune ragioni per cui credo improponibile una ricerca del fondamento assoluto dei diritti dell'uomo. Ma vi è un altro aspetto della questione, che è emerso da queste ultime considerazioni. E con ciò passo alla terza domanda che mi sono posto all'inizio. Si tratta di sapere se la ricerca del fondamento assoluto, qualora sia coronata da successo, ottenga il risultato sperato di far conseguire più rapidamente e più efficacemente il riconoscimento e l'attuazione dei diritti dell'uomo. Qui viene in discussione il secondo dogma del razionalismo etico che è poi la seconda illusione del giusnaturalismo: che i valori ultimi non solo si possano dimostrare come teoremi, ma che basti averli dimostrati, cioè resi in un certo senso inconfutabili e irresistibili per assicurarne l'attuazione. Accanto al dogma della dimostrabilità dei valori ultimi, la cui infondatezza si è cercato di mostrare nei paragrafi precedenti, il razionalismo etico, nella sua forma più radicale e antica, sostiene anche che la dimostrata razionalità di un valore è condizione non solo necessaria ma sufficiente della sua attuazione. Il primo dogma assicura la potenza della ragione; il secondo ne assicura il primato.
Questo secondo dogma del razionalismo etico, e del giusnaturalismo, che del razionalismo etico è l'espressione storica più cospicua, è smentito dall'esperienza storica. Adduco su questo punto tre argomenti. Prima di tutto, non si può dire che i diritti dell'uomo siano stati rispettati di più nelle età in cui i dotti erano concordi nel ritenere di aver trovato per difenderli un argomento inconfutabile, cioè un fondamento assoluto: la loro derivabilità dall'essenza o dalla natura dell'uomo. In secondo luogo, nonostante la crisi dei fondamenti, per la prima volta in questi decenni la maggior parte dei governi esistenti hanno proclamato di comune accordo una dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Di conseguenza, dopo questa dichiarazione il problema dei fondamenti ha perduto gran parte del suo interesse. Se la. maggior parte dei governi esistenti si sono accordati in una dichiarazione comune, è segno che, hanno trovato buone ragioni per farlo. Perciò, ora non si tratta tanto di cercare altre ragioni, o addirittura, come vorrebbero i giusnaturalisti redivivi, la ragione delle ragioni, ma di porre le condizioni per una più ampia e scrupolosa attuazione dei diritti proclamati. Certamente, per dare la propria opera alla creazione di queste condizioni, bisogna essere convinti che l'attuazione dei diritti dell'uomo è un fine desiderabile; ma non basta questa convinzione perché quelle condizioni si realizzino. Molte di queste condizioni (e così passo al terzo argomento) non dipendono dalla buona volontà neppure dei governanti e tanto meno dalle buone ragioni addotte per dimostrare la bontà assoluta di quei diritti: solo la trasformazione industriale in un paese, per esempio, rende possibile la protezione dei diritti connessi ai rapporti di lavoro. Si ricordi che A più forte argomento addotto dai reazionari di tutti i paesi contro i diritti dell'uomo, in specie contro i diritti sociali, non è già la loro mancanza di fondamento, ma la loro inattuabilità. Quando si tratta di enunciarli l'accordo è ottenuto con relativa facilità, indipendentemente dalla maggiore o minore convinzione del loro fondamento assoluto: quando si tratta di passare all'azione, fosse pure il fondamento indiscutibile, cominciano le riserve e le opposizioni. Il problema di fondo relativo ai diritti dell'uomo è oggi non tanto quello di giustificarli, quanto quello di proteggerli. E un problema non filosofico ma politico.
9. Che esista una crisi dei fondamenti è innegabile. Bisogna prenderne atto, ma non tentare di superarla cercando altro fondamento assoluto da sostituire a quello perduto. Il nostro compito, oggi, è molto più modesto, ma anche più difficile. Non si tratta di trovare il fondamento assoluto impresa sublime ma disperata ma, di volta in volta, i vari fondamenti possibili. Senonché anche questa ricerca dei fondamenti possibili impresa legittima e non destinata come l'altra all'insuccesso non avrà alcuna importanza storica se non sarà accompagnata dallo studio delle condizioni, dei mezzi e delle situazioni in cui questo o quel diritto possa essere realizzato. Tale studio è compito delle scienze storiche e sociali. Il problema filosofico dei diritti dell'uomo non può essere dissociato dallo studio dei problemi storici, sociali, economici, psicologici, inerenti alla loro attuazione: il problema dei fini da quello dei mezzi. Ciò significa che il filosofo non è più solo. Il filosofo, che si ostina a restar solo, finisce per condannare la filosofia alla sterilità. Questa crisi dei fondamenti è anche un aspetto della crisi della filosofia.
(N. Bobbio, L'età dei diritti, Einaudi, Torino 1990, pp. 5 - 16)