Alle
selve i mastini e i veltri slaccia
Il giovan Atteon, quand'il destino
Gli drizz'il dubio ed incauto camino,
Di boscareccie fiere appo la
traccia.
Ecco tra l'acqui il più bel busto e faccia,
Che veder poss'il
mortal e divino,
In ostro ed alabastro ed oro fino
Vedde; e 'l gran
cacciator dovenne caccia.
Il cervio ch'a' più folti
Luoghi drizzav'i
passi più leggieri,
Ratto vorâro i suoi gran cani e molti.
I' allargo i
miei pensieri
Ad alta preda, ed essi a me rivolti
Morte mi dàn con morsi
crudi e fieri.
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Atteone significa l'intelletto intento alla caccia della divina sapienza,
all'apprension della beltà divina. Costui slaccia i mastini ed i veltri. De quai
questi son più veloci, quelli più forti. Perché l'operazion de l'intelletto
precede l'operazion della voluntade; ma questa è più vigorosa ed efficace che
quella; atteso che a l'intelletto umano è più amabile che comprensibile la
bontade e bellezza divina, oltre che l'amore è quello che muove e spinge
l'intelletto acciò che lo preceda, come lanterna. Alle selve, luoghi inculti e
solitarii, visitati e perlustrati da pochissimi, e però dove non son impresse
l'orme de molti uomini. Il giovane poco esperto e prattico, come quello di cui
la vita è breve ed instabile il furore, nel dubio camino de l'incerta ed
ancipite raggione ed affetto designato nel carattere di Pitagora, dove si vede
più spinoso, inculto e deserto il destro ed arduo camino, e per dove costui
slaccia i veltri e mastini appo la traccia di boscareccie fiere, che sono le
specie intelligibili de' concetti ideali; che sono occolte, perseguitate da
pochi, visitate da rarissimi, e che non s'offreno a tutti quelli che le cercano.
Ecco tra l'acqui, cioè nel specchio de le similitudini, nell'opre dove riluce
l'efficacia della bontade e splendor divino: le quali opre vegnon significate
per il suggetto de l'acqui superiori ed inferiori, che son sotto e sopra il
firmamento; vede il più bel busto e faccia, cioè potenza ed operazion esterna
che veder si possa per abito ed atto di contemplazione ed applicazion di mente
mortal o divina, d'uomo o dio alcuno.
3 \ CIC.\ Credo che non faccia
comparazione, e pona come in medesimo geno la divina ed umana apprensione quanto
al modo di comprendere il quale è diversissimo, ma quanto al.suggetto che è
medesimo.
4 \ TANS.\ Cossì è. Dice in ostro alabastro ed oro, perché
quello che in figura nella corporal bellezza è vermiglio, bianco e biondo, nella
divinità significa l'ostro della divina vigorosa potenza, l'oro della divina
sapienza, l'alabastro della beltade divina, nella contemplazion della quale gli
pitagorici, Caldei, platonici ed altri, al meglior modo che possono, s'ingegnano
d'inalzarsi. Vedde il gran cacciator: comprese, quanto è possibile e dovenne
caccia: andava per predare e rimase preda questo cacciator per l'operazion de
l'intelletto con cui converte le cose apprese in sé.
5 \ CIC.\ Intendo,
perché forma le specie intelligibili a suo modo e le proporziona alla sua
capacità, perché son ricevute a modo de chi le riceve.
6 \ TANS.\ E
questa caccia per l'operazion della voluntade, per atto della quale lui si
converte nell'oggetto.
7 \ CIC.\ Intendo, perché lo amore transforma e
converte nella cosa amata.
8 \ TANS.\ Sai bene che l'intelletto apprende
le cose intelligibilmente, idest secondo il suo modo; e la voluntà perseguita le
cose naturalmente, cioè secondo la raggione con la quale sono in sé. Cossì
Atteone con que' pensieri, quei cani che cercavano estra di sé il bene, la
sapienza, la beltade, la fiera boscareccia, ed in quel modo che giunse alla
presenza di quella, rapito fuor di sé da tanta bellezza, dovenne preda, veddesi
convertito in quel che cercava; e s'accorse che de gli suoi cani, de gli suoi
pensieri egli medesimo venea ad essere la bramata preda, perché già avendola
contratta in sé, non era necessario di cercare fuor di sé la divinità.
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\ CIC.\ Però ben si dice il regno de Dio esser in noi, e la divinitade abitar in
noi per forza del riformato intelletto e voluntade.
10 \ TANS.\ Cossì è.
Ecco dunque come l'Atteone, messo in preda de suoi cani, perseguitato da proprii
pensieri, corre e drizza i novi passi; è rinovato a procedere divinamente e più
leggiermente, cioè con maggior facilità e con una più efficace lena, a' luoghi
più folti, alli deserti, alla reggion de cose incomprensibili; da quel ch'era un
uom volgare e commune, dovien raro ed eroico, ha costumi e concetti rari, e fa
estraordinaria vita. Qua gli dàn morte i suoi gran cani e molti: qua finisce la
sua vita secondo il mondo pazzo, sensuale, cieco e fantastico, e comincia a
vivere intellettualmente; vive vita de dei, pascesi d'ambrosia e inebriasi di
nettare.
[Giordano Bruno, "Degli eroici furori", parte 1, dialogo
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