Campanella, I cardini dell'utopia e lo stato etico

Nella società descritta nella Città del Sole notiamo due elementi tipici del pensiero utopico: l'abolizione della famiglia e l'abolizione della proprietà privata. Il giudizio negativo sulla famiglia è motivato dal fatto che essa è fonte di egoismo, di “amor proprio”, di discriminazione sociale; cosí come la proprietà privata. Entrambe sono considerate i due massimi nemici della dimensione comunitaria della vita e della fratellanza universale. La soluzione proposta anche in quest'opera - come in altre “utopie” - è la comunione delle donne e dei bambini, soluzione che viene presentata senza tener conto del suo carattere innaturale e della carica di violenza insita in essa. In questo passo vengono espressi anche una notevole diffidenza verso l'amore, come atto libero e disordinato, e il desiderio di ridurlo alla sua dimensione biologica (curare la razza), certamente piú controllabile.

Lo stato nella Città del Sole ha una struttura fortemente centralizzata e si fonda su una chiara ispirazione teocratica. Anche se la teocrazia papale è stata il grande progetto politico di Campanella, sembra che in quest'opera egli si sia ispirato, piú che alla tradizione cristiana medioevale (in cui era sempre esistito un potere politico di fianco a quello religioso), alle strutture dell'impero inca, in cui il capo religioso, che veniva divinizzato come figlio del dio Sole, era anche capo politico. Inoltre nella civiltà inca non vi era la proprietà privata e il controllo sui rapporti di coppia era molto accurato. Anche la descrizione della stessa Città del Sole sembra ispirata dalla capitale dell'impero inca, Cuzco.

Lo stato nella Città del Sole ha una forte valenza etica: esso è impegnato soprattutto nella tutela del bene e della morale sociale. Da ciò gli deriva il diritto-dovere a un controllo capillare sulla società, per la conservazione e il potenziamento del suo standard morale, che è già alto (molto piú che nelle società occidentali). Si accenna anche all'originale metodo educativo ideato in questa città: usare i muri come libri.

Il dialogo si svolge fra un Ospitalario, cioè un Cavaliere dell'Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme, e un Genovese, ammiraglio al seguito di Cristoforo Colombo.

 

T. Campanella, La Città del Sole

 

Ospitalario: Per tua fe', dimmi tutto il modo del governo, ché qui t'aspettavo.

Genovese: È un principe sacerdote tra loro, che s'appella Sole, e in lingua nostra si dice Metafisico: questo è capo di tutti in spirituale e temporale, e tutti i negozi in lui si terminano.

Ha tre príncipi collaterali: Pon, Sin, Mor, che vuol dir: Potestà, Sapienza e Amore.

Il Potestà ha cura delle guerre e delle paci e dell'arte militare; è supremo nella guerra, ma non sopra Sole; ha cura dell'offiziali, guerrieri, soldati, munizioni, fortificazioni ed espugnazioni.

Il Sapienza ha cura di tutte le scienze e delli dottori e magistrati dell'arti liberali e meccaniche, e tiene sotto di sé tanti offiziali quante son le scienze: ci è l'Astrologo, il Cosmografo, il Geometra, il Loico, il Rettorico, il Grammatico, il Medico, il Fisico, il Politico, il Morale; e tiene un libro solo, dove stan tutte le scienze, che fa leggere a tutto il popolo ad usanza di Pitagorici. E questo ha fatto pingere in tutte le muraglie, su li rivellini [elementi in muratura eretti a difesa delle porte delle città] , dentro e di fuori, tutte le scienze. [...]

Il Amore ha cura della generazione, con unir li maschi e le femine in modo che faccin buona razza; e si riden di noi che attendemo alla razza de' cani e cavalli, e trascuramo la nostra. Tien cura dell'educazione, delle medicine, spezierie, del seminare e raccogliere li frutti, delle biade, delle mense e d'ogni altra cosa pertinente al vitto e vestito e coito, e ha molti maestri e maestre dedicate a queste arti.

Il Metafisico tratta tutti questi negozi con loro, ché senza lui nulla si fa, e ogni cosa la communicano essi quattro, e dove il Metafisico inchina, son d'accordo.

Ospitalario: Or dimmi degli offizi e dell'educazione e del modo come si vive; si è republica o monarchia o Stato di pochi.

Genovese: Questa è una gente ch'arrivò là dall'Indie, ed erano molti filosofi, che fuggîro la rovina di Mogori [Mongoli] e d'altri predoni e tiranni; onde si risolsero di vivere alla filosofica in commune, si ben la communità delle donne non si usa tra le genti della provinzia loro; ma essi l'usano, ed è questo il modo. Tutte cose son communi; ma stan in man di offiziali le dispense, onde non solo il vitto, ma le scienze e onori e spassi son communi, ma in maniera che non si può appropriare cosa alcuna.

Dicono essi che tutta la proprietà nasce da far casa appartata, e figli e moglie propria, onde nasce l'amor proprio; ché, per sublimar a ricchezze o a dignità il figlio o lasciarlo erede, ognuno diventa o rapace publico, se non ha timore, sendo potente; o avaro e insidioso e ippocrita, si è impotente. Ma quando pèrdono l'amor proprio, resta il commune solo.

Ospitalario: Dunque nullo vorrà fatigare, mentre aspetta che l'altro fatichi, come Aristotile dice contra Platone.

Genovese: Io non so disputare, ma ti dico c'hanno tanto amore alla patria loro, che è una cosa stupenda, piú che si dice delli Romani, quanto son piú spropriati. E credo che li preti e monaci nostri, se non avessero li parenti e li amici, o l'ambizione di crescere piú a dignità, sariano piú spropriati e santi e caritativi con tutti.

Ospitalario: Dunque là non ci è amicizia, poiché non si fan piacere l'un l'altro.

Genovese: Anzi grandissima: perché è bello a vedere, che tra loro non ponno donarsi cosa alcuna, perché tutto hanno del commune; e molto guardano gli offiziali, che nullo abbia piú che merita. Però quanto è bisogno tutti l'hanno. E l'amico si conosce tra loro nelle guerre, nell'infirmità, nelle scienze, dove s'aiutano e s'insegnano l'un l'altro. E tutti li gioveni s'appellan frati, e quei che son quindici anni piú di loro, padri, e quindici meno, figli. [...]

E poi vi stanno l'offiziali a tutte cose attenti, che nullo possa all'altro far torto nella fratellanza.

Ospitalario: E come?

Genovese: Di quante virtú noi abbiamo, essi hanno l'offiziale: ci è uno che si chiama Liberalità, uno Magnanimità, uno Castità, uno Fortezza, uno Giustizia criminale o civile, un Solerzia, un Verità, Beneficenza, Gratitudine, Misericordia ecc.; e a ciascuno di questi si elegge quello, che da fanciullo nelle scole si conosce inchinato a tal virtú. E però, non sendo tra loro latrocinii, né assassinii, né stupri e incesti, adulteri, delle quali noi ci accusiamo, essi si accusano d'ingratitudine, di malignità, quando uno non vuol far piacere onesto, di bugia, che abborriscono piú che la peste; e questi rei per pena son privati della mensa commune, o del commerzio delle donne, e d'alcuni onori, finché pare al giudice, per ammendarli.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. X, pagg. 756 e 758-759)