La natura è il libro dei libri,
il codice primo, superiore a tutti gli altri, compresa la Bibbia, che Dio ci ha concesso
perché avevamo bisogno di un codice piú facile. La Chiesa è infallibile, ma non
è suo compito occuparsi delle scienze della natura. La distinzione fra il
codice teologico e il codice della natura e lo sforzo per conciliare gli studi
scientifici con la tradizione cristiana (conoscere il creato per arrivare al
Creatore) permettono un'efficace difesa della posizione galileiana come metodo
di ricerca, senza schierarsi apertamente a favore del copernicanesimo.
a) Natura e Bibbia (T. Campanella, Theologicorum, I, 1)
Il primo codice, da cui prendiamo la scienza sacra, era la natura.
Ma siccome questa non bastava a noi che eravamo soggiacenti per i peccati alla
ignoranza e alla debolezza, avemmo bisogno di un altro codice piú conveniente a
noi, non migliore in sé. Migliore è infatti la natura universa scritta in
lettere vive che la Bibbia Sacra scritta in lettere morte, che
son segni e non cose, come nel primo codice. Per noi tuttavia ai fini della
scienza il codice delle divine Scritture è migliore perché piú facile:
ci offre come a bambini le cose di Dio che erano occulte, in maniera umana e
adatta a bambini, come fa il padre quando parla col bambino con termini
semplici e come balbettando.
b) Distinzione tra fede e scienza della natura (T. Campanella, Disputationum in quattuor partes suae philosophiae realis libri 4) ( pagg. 56-58)
[Quanto ai problemi strettamente cosmologici] la Santa Chiesa, che
è governata dallo Spirito Santo, in modo che non possa errare, non ha mai
stabilito nulla; questi problemi non appartengono alla fede, ma alla scienza
della natura, di cui essa non si cura.
c) “Né Mosè né il Signore Gesú ci hanno rivelato la scienza della natura e degli astri” (T. Campanella, Apologia pro Galilaeo mathematico florentino)
[I teologi] che hanno lo zelo per Dio e non la scienza, benché
siano santissimi, se non hanno ricevuto da Dio un'espressa rivelazione, non
possono affatto giudicare su di una tale questione [galileiana] [...].
Al teologo speculativo che voglia disputare contro i settarii è
necessaria la conoscenza filosofica sulle cose celesti e su quelle inferiori
[...].
Non è stata ancora perfezionata dai filosofi la scienza sui
fenomeni celesti [...].
Né Mosè né il Signore Gesú ci hanno rivelato la scienza della
natura e degli astri [...]; ci hanno invece insegnato a vivere beatamente e le
dottrine soprannaturali, per cui non bastava la natura [...].
Chi vieta ai cristiani lo studio della filosofia e delle scienze,
vieta loro di essere cristiani [...]; la sola legge cristiana raccomanda ai
suoi tutte le scienze, perché non teme di una propria falsità [...].
Chi avversa come partendo dalla propria dottrina cristiana i
filosofi che provano le proprie dottrine con l'esperienza e con la ragione,
quando non sono espressamente contrarie alle Sacre Scritture in quanto
queste non possono avere altra spiegazione, agisce perniciosamente contro se
stesso ed empiamente contro la fede e irrisoriamente di fronte agli altri; e
molto di piú ancora chi accomoda, scomodando gli altri, il significato della Scrittura
ad un solo filosofo [...].
Non ogni falsità è talmente contraria alle Scritture da
essere ritenuta come eretica nella Chiesa militante [...]; non dev'essere
condannato e neppure distolto da ulteriori indagini colui che indaga sulle
dottrine scientifiche con l'animo di scoprire la verità e non di impugnare la
fede [...].
L'uno e l'altro codice non vanno interpretati secondo che
stabilisce Aristotele o un altro, ma si debbano conoscere le dottrine di tutti
i filosofi, e dobbiamo esporre come leggiamo in ambedue i libri di Dio, coi
propri sensi e con lo spirito dei Padri e col fecondissimo intelletto della Chiesa,
lontani da ogni invidia e passione, che oscurano e guastano il giudizio [...].
Il vero non contraddice al vero, e neppure l'effetto alla causa;
dunque neppure la scienza umana a quella divina [...]. I due codici di Dio
concordano l'uno con l'altro [...].
Delirano coloro i quali pensano che la scienza degli astri è stata
stabilita una volta per sempre da Aristotele e non ci sia piú nulla da
investigare [...].
Nel Vangelo non si legge mai che Cristo abbia disputato su
cose fisiche o astronomiche, ma su cose morali e sulle promesse di vita eterna
[...].
Chi teme di essere contraddetto dalle indagini naturali è
consapevole della propria falsità. Se veramente la legge cristiana è pienissima
di tutte le verità, senza alcun inganno, non solo non teme dagl'indagatori, ma
trova in loro una testimonianza [...]. La teologia non mette in fuga le
scienze, ma si serve di esse per convocare gli uomini nel regno dei cieli,
perché esse sono ancelle e servono veramente, non contraddicono. Le scienze che
contraddicono non sono scienze, ma fantasie di filosofi vani [...].
L'approvazione delle scienze nel cristianesimo è il grande vincolo, fra gli
altri che mi fanno rimanere nella Chiesa di Dio.
Se Galileo vincerà, non poca derisione frutteranno verso la fede
romana i nostri teologi presso gli eretici [...]. Cosa faranno gli eretici
quando sapranno che noi insorgiamo contro i fisici e gli astronomi? Non
grideranno subito che facciamo violenza alla natura, oltre che alla Scrittura?
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1964, vol. IX, pagg. 2036, 2037-2038)