Quest’opera è una delle massime
manifestazioni del pensiero utopico. Essa è stata scritta in forma dialogica.
Si immagina che il dialogo avvenga fra un ospitalario (cioè un membro
dell’ordine dei Cavalieri di Malta) e un Genovese, che sembra sia stato
nocchiere sulle navi di Cristoforo Colombo.
In questo primo brano viene descritta la favolosa Città del Sole, che si
sarebbe trovata sull’isola di Taprobana (Ceylon?).
T. Campanella, La città del
Sole
Ospitalario. Dimmi, di grazia, tutto quello
che t’avvenne in questa navigazione.
Genovese. Già t’ho detto come girai il
mondo tutto, e poi come arrivai alla Taprobana e fui forzato mettere in terra,
e poi, fuggendo la furia di terrazzani, mi rinselvai, e uscii in un gran piano
proprio sotto l’equinoziale.
Ospitalario. Qui che t’occorse?
Genovese. Subito incontrai un gran
squadrone d’uomini e donne armate, e molti di loro intendevano la lingua mia,
li quali mi condussero alla Città del Sole.
Ospitalario. Di’ come è fatta questa città e
come si governa.
Genovese. Sorge nell’ampia campagna un
colle, sopra il quale sta la maggior parte della città; ma arrivano i suoi giri
molto spazio fuor delle radici del monte, il quale è tanto, che la città fa due
miglia di diametro e piú, e viene ad essere sette miglia di circolo; ma, per la
levatura, piú abitazioni ha, che si fosse in piano.
È la città distinta in sette
gironi grandissimi, nominati dalli sette pianeti, e s’entra dall’uno all’altro
per quattro strade e per quattro porte, alli quattro angoli del mondo
spettanti; ma sta in modo che, se fosse espugnato il primo girone, bisogna piú
travaglio al secondo e poi piú; talché sette fiate bisogna espugnarla per
vincerla. Ma io son di parere, che neanche il primo si può, tanto è grosso e
terrapieno, e ha valguardi [baluardi], torrioni, artelleria e fossati di fuora.
Entrati dunque per la porta
Tramontana, di ferro coperta, fatta che s’alza e cala con bello ingegno, si
vede un piano di cinquanta passi tra la muraglia prima e l’altra. Appresso stanno
palazzi tutti uniti per giro col muro, che puoi dir che tutti siano uno; e di
sopra han li rivellini sopra a colonne, come chiostri di frati, e di sotto non
vi è introito, se non dalla parte concava delli palazzi. Poi son le stanze
belle con le finestre al convesso e al concavo, e son distinte con picciole
mura tra loro. Solo il muro convesso è grosso otto palmi, il convavo tre, li
mezzani uno o poco piú.
Appresso poi s’arriva al secondo
piano, ch’è dui passi o tre manco, e si vedono le seconde mura con li rivellini in fuora e
passeggiatòri; e dalla parte dentro, l’altro muro, che serra i palazzi in
mezzo, il chiostro con le colonne di sotto, e di sopra belle pitture.
E cosí s’arriva fin al supremo e
sempre per piani. Solo quando s’entran le porte, che son doppie per le mura
interiori ed esteriori, si ascende per gradi tali, che non si conosce, perché
vanno obliquamente, e son d’altura quasi insensibile distinte le scale.
Nella summità del monte vi è un
gran piano e un gran tempio in mezzo, di stupendo artifizio.
Ospitalario. Di’, di’ mo, per vita sua.
Genovese. Il tempio è tondo
perfettamente, e non ha muraglia che lo circonda; ma sta situato sopra colonne
grosse e belle assai. La cupola grande ha in mezzo una cupoletta con uno
spiraglio, che prende sopra l’altare, ch’è un solo e sta nel mezzo del tempio.
Girano le colonne trecento passi e piú, e fuor delle colonne della cupola vi
sono per otto passi li chiostri con mura poco elevate sopra le sedie, che stan
d’intorno al concavo dell’esterior muro, benché in tutte le colonne interiori,
che senza muro fraposto tengono il tempio insieme, non manchino sedili
portatili assai.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. X,
pagg. 754–756