Cleto Carbonara mette in
evidenza come il clima di apertura culturale presente nel Rinascimento italiano
e in particolare fiorentino consenta una fusione fra il cristianesimo e i
riscoperti temi della filosofia platonica e neoplatonica. A differenza di
quanto era avvenuto agli inizi della storia del cristianesimo, quando la nuova
dottrina religiosa si era in qualche modo impossessata della filosofia greca e
ne aveva fatto una propria ancella, ora è la filosofia che
sembra modellare - o comunque modificare - la spiritualità religiosa: Ficino si
fa prete cattolico, ma non rinuncia a formulare una “teologia razionale”: a
dare, cioè, alla fede religiosa un fondamento filosofico, che fa passare in
secondo piano la rivelazione.
C. Carbonara, Il platonismo
nel Rinascimento, I, 4
Cosimo dei Medici vagheggiava la
fondazione, a Firenze, d'una scuola di platonismo e vedeva in Marsilio l'uomo
capace d'illustrare tale filosofia. [...] Nel 1462 il Ficino, allogato nella casa
di Montevecchi a Careggi, iniziò la traduzione di Platone, dopo essersi
iniziato, negli anni immediatamente precedenti, allo studio della lingua greca
[...]. Crebbe ben presto la fama del Ficino e intorno a lui si raccolse una
schiera di dotti, per discorrere di Platone e della tradizione platonica, greca
e latina. Alter Plato venne chiamato il Ficino dai contemporanei ed egli
stesso impose alle conversazioni careggiane il nome di Accademia, in
ricordo della scuola gloriosa fondata da Platone. L'Academia Charegiana,
preludio all'Accademia Fiorentina, piú tardi fiorita sotto Lorenzo il
Magnifico, non fu un organismo legalmente costituito e retto da precise norme
costituzionali, ma semplicemente, appunto, un convegno di dotti, riuniti da un
comune interesse culturale. Il maestro li chiamava confilosofi, ma essi
esercitavano le attività piú diverse: erano poeti, oratori, giureconsulti,
statisti, filosofi veri e propri, sacerdoti, medici, musicisti. Lo stesso
Ficino, medico, letterato, filosofo, coltivava la musica, anche perché scopriva
tra essa e la medicina uno stretto legame: la musica secondo lui curava il
corpo per mezzo dell'anima, cosí come la medicina curava l'anima per mezzo del
corpo. [...]
Nella mente di Ficino, il
platonismo si congiunge al cristianesimo non soltanto sul fondamento di una
religiosità profonda da cui il primo appare permeato, ma anche per una
tradizione storica ininterrotta, per cui l'antichissima saggezza dell'Oriente,
ripensata da Platone e dai neoplatonici, si ritrova trasfigurata ma tuttavia
persistente nei Padri della Chiesa e nei dottori della Scolastica. Come
apprendiamo dall'Epistolario ficiniano, la sapienza fu intesa per la
prima volta in Oriente come un dono divino e come mezzo per cui l'uomo può
elevarsi fino a Dio; tale principio fu poi appreso da Pitagora, Eraclito,
Platone, Aristotele, i neoplatonici; riemerse nella speculazione filosofica
ispirata dalla Rivelazione cristiana e si ritrovò quindi in Agostino, Scoto,
negli Arabi Avicebron, Alfarabi, Avicenna. Lo stesso Cicerone figura nella
catena dei platonici latini.
Riallacciandosi a quella
tradizione e meditando sui testi platonici, il Ficino concepí il disegno,
portato a termine nel periodo della sua maturità spirituale, dal 1469 al 1474,
di ricostruire su fondamento platonico la teologia cristiana: nacquero cosí i
diciotto libri Theologiae platonicae de immortalitate animorum,
pubblicati nel 1482. In numerosi altri scritti (epistole, dialoghi, trattati,
commentari) il Ficino tornò sul concetto della tradizione platonica e su vari
punti del platonismo, ma nel 1474 egli stese in latino e tradusse in volgare il
trattati De christiana religione, in cui l'intento apologetico si
congiunge all'assunto fondamentale della dottrina ficiniana, perché il
platonismo vi è considerato come il nucleo essenziale di una teologia razionale
i cui princípi coincidono con quelli della rivelazione cristiana: tale
coincidenza è il principale argomento con cui si riesce a dimostrare
l'eccellenza del cristianesimo rispetto alle altre religioni positive. Del
resto il Ficino è disposto ad ammettere che qualsiasi culto, purché esercitato
con animo puro, reca onore e gradimento a Dio.
(C. Carbonara, Il platonismo
nel Rinascimento, in Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano,
1964, vol. VI, pagg. 534-535)