Carneade, La giustizia viene a coincidere con l'utile

         Un altro passo che ci illustra i ragionamenti di Carneade è questo in cui la differenza fra i vari popoli nella pratica del diritto è spiegabile con il fatto che esso deve essere in sintonia con ciò che viene considerato utile. Ne deriva che non la giustizia, bensí l'utilità è il valore che sta a fondamento delle conquiste romane.

 

Cicerone, De re publica, III, 12 e 15

 

1.     O se vorrà seguire la giustizia, pur essendo ignaro del diritto derivante dalla divinità, abbraccerà come vero diritto le leggi del proprio popolo che furono escogitate non già dalla giustizia ma dall'utile. Per qual ragione infatti si sarebbero costituiti svariati e differenti diritti secondo ogni popolo, se non per il fatto che ciascuna nazione sancí per se stessa ciò che ritenne vantaggioso per sé? Quanto sia distante l'utile dal giusto lo dimostra lo stesso popolo romano, che con l'indire guerre servendosi dei feziali e commettendo legalmente dei soprusi e sempre bramando e rapinando l'altrui si procacciò il dominio di tutto il mondo.

2.     Gli uomini sancirono il diritto per proprio utile, dal momento che esso venne spesso cambiato a seconda dei costumi e nell'àmbito di una medesima società a seconda dei tempi, e pertanto non esiste alcun diritto naturale; tutti, sia uomini sia gli altri esseri viventi sono portati all'utile proprio, sotto la guida della natura; di conseguenza o non esiste affatto la giustizia o , se essa esiste in qualche modo, è il colmo della stoltezza, perché in servizio del vantaggio altrui nuocerebbe a se stessa.

3.     Inoltre primo stimare il patrio vantaggio nel caso che si eliminasse la discordia tra gli uomini, si ridurrebbe a nulla. Che è infatti il vantaggio della patria se non il danno di un'altra città o di un altro popolo? cioè allargare i confini con acquisti strappati ad altri con la violenza, ingrandire il dominio, imporre tributi maggiori...

4.     Pertanto chi abbia procacciato alla propria patria questi beni, come essi li chiamano, chi cioè abbia riempito l'erario di danaro a costo della distruzione di città e dell'annientamento di popoli, che abbia occupato territori, chi abbia reso piú ricchi i propri cittadini, questi è innalzato con le lodi fino al cielo, in costui si ritiene che consista somma e perfetta virtú; ed è questo un errore non soltanto del volgo e degli ignoranti, ma anche dei filosofi, che perfino dànno insegnamenti per l'ingiustizia, perché dottrina ed autorità non vengano a mancare alla stoltezza ed alla malvagità.

         [...]

5.     Tutti i popoli fiorenti per domíni, ed in particolare i Romani che si impadronirono di tutto il mondo, se volessero essere giusti, cioè restituire le cose altrui, dovrebbero ritornarsene alle capanne e giacersene in povertà e miseria...

 

 (Cicerone, Opere politiche e filosofiche, UTET, Torino, 1953, vol. I, pagg. 178-179 e 181)