Per
Cassirer i Greci sono stati i primi a dare un’impostazione scientifica ed
empirica del conoscere, a cogliere la differenza fra scienza e metafisica, a
rendere il pensiero consapevole di sé.
E. Cassirer, Die
Geschichte der antiken Philosophie, Berlin, 1925; trad. it. Da Talete a Platone, a cura di G. A. de Toni, Laterza, Bari,
1984, pagg. 3-5
Al contrario i primi secoli della filosofia greca sono in certo qual modo designabili come il primo emergere dell’atto stesso del pensare: come un pensiero che entro il suo puro movimento si dŕ un proprio contenuto e una propria configurazione stabile. E tale processo di configurazione si muove fin dall’inizio in due direzioni diverse, ma necessariamente interrelate e congeneri. Sull’un lato si presenta qui la prima volta in tratti chiari e sicuri, in contorni fermi e precisi un quadro del mondo a fondamento scientifico. Tutti i pensieri intersecantisi nel nostro concetto moderno di “natura”, qui sono stati pensati e colti anzitutto in tematizzazioni nettamente separate. I concetti di materia e forza, di numero e grandezza, di moto e divenire, i concetti di continuo e discreto, di atomo e “spazio puro” – ci si fanno tutti incontro non come semplici prodotti dell’osservare la natura, ma da vere creazioni intellettuali e con impresso il marchio di creazioni siffatte. A questi concetti di fondo e “ipotesi” generali si affianca l’elaborazione dei piú ingegnosi e rigoroso metodi di conoscenza empirica della natura. Il pregiudizio storico che ai Greci siano mancate la cognizione dell’esperimento scientifico sulla natura e la coscienza della sua portata metodica č stato sempre piú confutato dai risultati della ricerca moderna. Oggi i Greci ci appaiono non solo i creatori della cosmologia e cosmofisica scientifica, i fondatori dell’astronomia teorica e del sistema eliocentrico, ma anche come coloro che nelle scienze descrittive della natura, soprattutto nella medicina, hanno gettato dovunque le prime basi sicure dell’osservazione e scomposizione esatta dei fenomeni. Si puň parlare di una “scoperta” del concetto di natura e del concetto di esperienza scientifica anche nei primi secoli del Rinascimento; ma questa seconda scoperta, benché si compia autonomamente, risale pur sempre a determinati motivi di pensiero che come tali si sono foggiati dapprima nella filosofia antica. Negli scritti di Galilei e di Keplero incontriamo questa connessione quasi a ogni pagina. L’opera prima di Keplero, il Mysterium Cosmographicum, si presenta come un perfezionamento del Timeo platonico: la dottrina dei cinque corpi platonici diviene la chiave che deve dischiudere i misteri del sistema cosmico. E nello scritto sul moto di Marte, Astronomia nova seu physica coelestis, ma soprattutto nell’opera principale e fondamentale di Keplero, la Harmonia mundi, si mostra direttamente presente e viva una delle forme fondamentali della filosofia e della scienza greche, la tradizione pitagorica. In Galilei invece vengono ritrovati per una via nuova dopo secoli di oscuramento i concetti e le idee fondamentali di Democrito, vittoriosamente difesi contro la filosofia peripatetica scolastica. In entrambi, sia in Keplero sia in Galilei, questa connessione con l’antichitŕ classica č ancora cosciente e presente in via diretta. Ma quanto piú la scienza moderna della natura progredí e quanto piú autonomamente colse il suo proprio concetto e il suo compito peculiare, tanto piú nettamente emerse anche la linea di confine e di separazione che divide la scienza empirica esatta della natura dalla filosofia dello “spirito”, dalla “metafisica” generale. Per il pensiero greco una simile divisione č inattuabile, perché uno dei tratti essenziali che lo caratterizzano consiste per l’appunto nel fatto che per esso i contorni del mondo “esterno” e di quello “interno” si fissano, la scoperta della realtŕ effettuale sia “oggettiva” sia “soggettiva” si compie, in un unico e in sé medesimo processo speculativo. Dal momento che qui il pensiero non trova giŕ precostituito il quadro dell’essere oggettivo, ma se lo deve guadagnare punto per punto, ogni progresso su questa via significa insieme un passaggio alla comprensione relativamente piú profonda di ciň che č il pensiero stesso. Ogni nuovo sapere intorno all’oggetto gli diviene motivo e fondamento di una nuova consapevolezza che esso acquista di se stesso e della sua peculiare forza e funzione. In quella che il pensiero impara a concepire il mondo come un universo in sé ordinato, come un “kósmos” chiuso e articolato, qui appunto gli si dischiude per la prima volta la certezza del mondo dello spirito. Nella struttura dell’essere gli si disvela la struttura del pensare: i concetti di kósmos e lógos divengono concetti reciproci che si definiscono e si illuminano a vicenda.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. I, pagg. 293-294