Ernst
Cassirer (1874-1945), filosofo tedesco aderente al movimento neokantiano,
individua con chiarezza la dipendenza dei filosofi idealisti dal pensiero di
Kant (Fichte dalla Critica della ragion pratica,
Schelling dalla Critica del giudizio, Hegel dalla Religione entro i
limiti della sola ragione); e non è senza una certa ironia che egli chiama
“miracolo” l'operazione idealista di fondere in uno soggetto e oggetto: di
fronte a questo miracolo il rigore critico di Kant diventa “illusione”.
E.
Cassirer, Il problema della conoscenza nella filosofia e nella scienza
dell'età moderna, III, cap. IV, 1
Il
destino storico della filosofia kantiana, che aveva inteso e creduto di
limitare criticamente la metafisica, fu in realtà di conferire una nuova forza
e una nuova risonanza agli ultimi e fondamentali motivi della metafisica.
Infatti la Critica della ragion pura liberò non solo la conoscenza
empirica, ma anche la conoscenza metafisica dai limiti del concetto dogmatico
di cosa. Ormai neppure la metafisica ebbe piú bisogno di essere un sapere delle
cose assolute, esistenti esternamente in una sfera trascendente “al di là”
dello spirito: il suo fine particolare si trovava ormai nella complessiva
organizzazione dello spirito stesso. E i grandi sistemi speculativi si
distinguono d'ora innanzi a seconda dei presupposti e del punto di partenza in
base ai quali cercano di determinare tale organizzazione. Mentre Fichte rinvia
per questo al problema fondamentale dell'etica, al concetto centrale di
libertà; mentre Schelling nella sua complessiva concezione vuol dare una
sintesi della sua intuizione del processo vitale e della sua intuizione del
significato profondo e dell'essenza dell'opera d'arte, per Hegel fin da principio
occupano il punto centrale le questioni fondamentali della religione e della
teologia. La stessa importanza decisiva che per Fichte aveva assunto la Critica
della ragion pratica e per Schelling la Critica del giudizio assume
per il giovane Hegel la kantiana Religione nei limiti della sola ragione. Ma
il suo vigore speculativo si rivela tosto nel fatto che egli dalla
particolarità di questo cominciamento tende immediatamente a spingersi di nuovo
verso i piú generali e fondamentali pensamenti teorici. In rapporto alla
religione e nell'ambito di essa gli si svela per la prima volta il senso
veramente concreto della “rivoluzione nel modo di pensare” compiuta dal
criticismo. E si verifica qui un particolare movimento alterno del pensiero:
ora sono i concetti e i problemi propri della filosofia della religione a esser
presentati nel linguaggio del pensiero logico, ora i princípi generali, anche
quando sembrano essere svolti puramente per sé, ricevono dal nuovo compito
sistematico che devono attuare una diversa forma e una diversa impronta. In
questo fondersi di motivi nasce e si fonda quella prima forma del pensiero
hegeliano che incontriamo negli schizzi e negli abbozzi della prima giovinezza;
e questa forma bisogna prender per base se sei vuole intendere storicamente lo
svolgimento della filosofia hegeliana e il suo risultato ultimo.
La
formulazione piú generale del problema kantiano ci si presenta nel concetto di
giudizio sintetico. Ivi si trova la questione partendo dalla quale si determina
il nuovo rapporto fra “sapere” e “realtà”, fra pensiero ed essere. La “sintesi a
priori” significa un'unità della conoscenza e del suo oggetto che va oltre
ogni semplice riunione e collegamento di elementi per il resto separati:
un'unità che non nasce dalle parti perché invece è presupposta ad esse come
condizione necessaria. La questione di come sia il sapere senza l'oggetto, e
quindi anteriormente alla sua determinazione obiettiva, oppure come sia
l'oggetto senza il sapere e indipendentemente dalle condizioni di questo,
appare ora del tutto priva di senso. Infatti l'apriorità della sintesi si
dimostra appunto nel fatto che come tale è originaria e quindi insopprimibile.
Finché si fa “dirigere” la conoscenza verso l'oggetto è nel senso che questo
indichi una méta che per essa, per quanto grande sia l'approssimazione
raggiunta, è e rimane tuttavia qualcosa di esteriore è la coincidenza di
“soggettivo” e di “obiettivo” resta un miracolo inesplicato. Questo miracolo
scompare solo quando si riconosce che la vera conoscenza a priori non
coglie o possiede l'oggetto come qualcosa di estraneo ad essa, ma che - in un
certo determinato senso - “è” essa stessa quest'oggetto. Essa reca il carattere
di universale validità e di necessità e possiede quindi in se stessa la vera
oggettività come un elemento logico di valore. Il particolare e l'universale,
il dato singolo e la legge dell'intelletto in base al quale esso viene
compreso, si compenetrano qui in tal maniera che ogni tentativo di separarli si
dimostra subito una pura illusione dell'astrazione. Infatti solo nelle forme di
sapere puro e in virtú di esse può esser “dato” alla conoscenza un qualcosa -
comunque esso sia - e solo in presenza dei dati particolari si “manifestano”
d'altro lato quelle forme universali e fanno riconoscere la loro necessità.
Questa specie d'unità non è prodotta in un successivo momento dal sapere, ma è
posta originariamente in esso in virtú della sua essenza particolare.
L'illusione secondo cui la conoscenza e il suo oggetto stanno in opposizione,
quasi come nature separate, eternamente cercandosi ed eternamente fuggendosi,
si dissipa, poiché il sapere conoscendo nella sua perfetta autocoscienza
critica le sue proprie condizioni, raggiunge e possiede in esse la forma delle
cose, la forma del reale stesso.
(E. Cassirer,
Storia della filosofia moderna, Einaudi, Torino, 1955, vol. III, pagg.
363-365)